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Brexit intrappolata all’interno di un’unione doganale non meglio definita. Ed il governo May torna ad arrancare, assieme alla sterlina.
La Commissione europea ha respinto ieri l’ultima proposta a firma Theresa May, alla disperata ricerca di un piano per risolvere la questione dei rapporti con l’estero. Il primo ministro sperava infatti di riunire il suo gabinetto proponendo a Bruxelles di creare un "meccanismo indipendente" per valutare un accordo doganale temporaneo nell’attesa che il Regno Unito definisca le proprie condizioni di Brexit.
La risposta dei funzionari europei non si è fatta attendere, suscitando i timori relativi al fatto che l’assenza di un accordo in sede di negoziati possa tradursi in un no-deal, ovvero in una separazione “hard”.
Come riportato da Bloomberg, il Consiglio dei Ministri avrebbe dovuto incontrarsi lunedì per firmare il piano del ministro May, tradottosi in un nulla di fatto. Per rispettare il piano della premier inglese di un accordo siglato entro la fine di novembre, l'ultima settimana utile potrebbe essere questa settimana.
Una Brexit versione hard è ancora possibile
Tra le questioni al centro del dibattito, le divergenze sul confine tra Irlanda del Nord (attualmente sotto il governo inglese) ed Irlanda. A proposito, grande curiosità ha riscosso la dichiarazione di un imprenditore (Kevin Mc Guire) di Casteblayney, comune al confine tra le due terre: “Se si stabilisse un confine rigido tra Irlanda e Irlanda del Nord" ha dichiarato Mc Guire, "molti nostri lavoratori dovrebbero attraversare la frontiera quattro volte solo per andare al lavoro e tornare a casa la sera. È assolutamente ridicolo".
Governo May: quattro ministri pronti a lasciare. Opposizione alla Brexit
Secondo quanto reso noto ieri dal Sunday Times, inoltre, dopo le dimissioni annunciate lo scorso venerdì dal ministro per i trasporti, Jo Johnson (fratello di Boris, in carica fino al luglio 2018 come Segretario di Stato per gli Affari Esteri e del Commonwealth), altri quattro ministri dell’esecutivo sarebbero pronti a lasciare il governo May in opposizione alla Brexit.
Ad aggiungere incertezze, è giunta nelle scorse ore l’opinione del ministro ombra britannico per la Brexit, Keir Starmer, secondo cui l’uscita della Gran Bretagna dall’Ue "potrebbe esser fermata". Secondo lo stesso, tuttavia, “la vera domanda da porsi ora è: quali decisioni dovremo prendere nelle prossime settimane/mesi?". Starmer ha quindi lanciato la provocazione: “Se l'accordo venisse bocciato, dovremmo prepararci nuove elezioni”. Ciò sarebbe in contrasto con quanto dichiarato negli scorsi mesi dal leader dei Labour, Jeremy Corbyn, secondo cui: "Non possiamo fermarla. Il referendum c'è stato. L'Articolo 50 è scattato. Quello che possiamo fare è riconoscere le ragioni per cui la gente ha votato di lasciare l'Unione”.
Brexit: l'uscita del 29 marzo e il periodo di transizione
Sebbene la data dell’uscita del Regno Unito dall’Unione sia fissata il 29 marzo 2019, Londra e Bruxelles potrebbero aver tempo fino all’inizio del 2021 per negoziare gli accordi definitivi. Il primo ministro britannico avrebbe infatti confermato l’idea di considerare un ampliamento del periodo di transizione (ora al 20 dicembre 2020) di alcuni mesi (tre), purché sia chiaro dal principio come l'UK ne uscirà. Ciò permetterebbe ad aziende e mercati di adattarsi in maniera graduale alla separazione della nazione dall’Europa. In tale fase la Gran Bretagna continuerebbe a rispondere delle decisioni e delle normative europee, senza però prende parte al processo decisionale.
Intanto, in mattinata il premier spagnolo, Pedro Sanchez (Partito socialista operaio), ha rivolto il proprio monito a May, consigliandole di indire un secondo referendum sulla Brexit ed avvertendo che il Paese avrebbe imboccato la via “dell’egocentrismo". "Se io fossi Theresa May” ha dichiarato Sanchez “indirei un secondo referendum. Senza dubbio".