Cina, pubblicati dati sul Pil: crescita più lenta da 30 anni
La guerra commerciale pesa sulla seconda economia del mondo, che nel 2019 è cresciuta solo del 6,1%: un valore che non si vedeva dal 1990
I dazi imposti dal presidente Usa Donald Trump ai prodotti in arrivo dalla Cina hanno impattato più del previsto sulla crescita del paese, che nel 2019 è aumentata “solo” del 6,1%: il tasso più basso dal 1990.
I dati sul Pil annuale della Cina, pubblicati stamattina, hanno messo in luce il rallentamento del tasso di cresciuta più forte degli ultimi 30 anni. La notizia non stupisce gli analisti, che avevano previsto esattamente i valori raggiunti: crescita negli ultimi 12 mesi del 6,1%, nell’ultimo trimestre (rispetto agli ultimi tre mesi del 2018) del 6,0%, mentre rispetto al precedente trimestre si registra un’accelerazione dell’1,5%.
I dati di dicembre mettono in luce allo stesso tempo un aumento della produzione industriale rispetto allo stesso periodo dello scorso anno del 6,9%: un buon risultato, in rialzo rispetto alle previsioni degli analisti (ferme a 5,9%). Salgono anche le vendite al dettaglio (8%, a fronte di aspettative di 7,8%), sebbene il dato degli ultimi 12 mesi abbia confermato un aumento delle stesse dell’8,05% - senza dunque discostarsi dal precedente.
Tali risultati mostrano un settore industriale comunque in movimento, mentre stentano a riprendere quota gli investimenti. Proprio a questo proposito, tuttavia, il trattato firmato con gli Stati Uniti per la conclusione della “Fase 1” delle trattative commerciali potrebbe aprire nuovi spiragli di ottimismo.
Cosa cambierà dopo l’accordo sulla “Fase 1”?
L’accordo firmato mercoledì tra Cina e Stati Uniti lascia ancora diverse questioni commerciali aperte (soprattutto per quanto riguarda il passaggio del know-how nell’industria tech e accordi relativi allo scambio di servizi), ma per lo meno tra i primi effetti dispiegati c’è l’aver infuso un nuovo ottimismo sui mercati finanziari.
Il governo cinese ha infatti potuto annunciare maggiori misure di supporto per aiutare l’economia a ripartire, secondo quanto ha dichiarato il capo dell’ufficio per le statistiche Ning Jizhe. Si prospetta l’ipotesi di un mix di riforme fiscali e monetarie, così da riuscire a tagliare le tasse e favorire la vendita di bond da parte delle autorità amministrative locali per finanziare nuove infrastrutture e, infine, aumentare il Pil pro capite (che l’anno scorso ha superato i 10 mila dollari). Il governo cinese intende inoltre concedere più prestiti, soprattutto a piccole e medie imprese.
Si parla comunque di una revisione al ribasso del target per il 2020. Nel 2019 il Partito popolare cinese si era dato come obiettivo una crescita tra il 6% e il 6,5%, ma da fonti governative è trapelata la notizia che per l’intenzione per l’anno corrente è di abbassarlo al 6%.
Colpa solo della guerra commerciale?
Il 2019 è stato un anno difficile per la Cina che, oltre con le richieste di Trump, ha dovuto fronteggiare anche una sensibile riduzione dei propri allevamenti a causa della febbre suina, che ha sterminato circa un quarto della popolazione cinese di maiale e ha provocato l’aumento del prezzo di carne (la più consumata in Cina) di quasi il doppio. Pesa anche la lotta contro il debito pubblico, che a dicembre 2018 segnava circa 2.262 miliardi di dollari.
Come hanno reagito i mercati?
Una crescita del 6,1%, per un paese abituato a viaggiare a livelli da due cifre, rappresenta un segnale decisamente negativo per i mercati finanziari; a quanto pare però questi ultimi hanno assorbito per lo più il dato sull’ultimo trimestre, relativamente migliore, e soprattutto la firma della “Fase 1“ degli accordi commerciali con gli Usa. È così che si spiega il valore poco sopra lo zero con cui ha chiuso la Borsa di Shanghai (+0,05%), mentre lo SZSE Component scende a -0,12% e, al contrario, China A50 segna +0,12%.
Il cambio USD/CNH è sceso a quota 6,8650, dopo aver raggiunto il minimo da luglio 2019, a 6,8579.
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