Cina in lenta ripresa da guerra dazi: surplus ancora basso, ma aumentano import ed export
I dati sulla bilancia commerciale cinese mostrano valori più bassi del previsto, ma c’è ottimismo per la firma della “Fase 1” dell’accordo con gli Usa
Gli occhi dei mercati oggi sono puntati sulla firma dell’accordo di “Fase 1” della guerra commerciale tra Cina e Usa, attesa per domani. Restano ancora i dubbi sulle effettive quantità di prodotti che la Cina si è impegnata ad acquistare dagli Usa (si parla di 40-50 miliardi di dollari in beni agricoli) e su quanto sia probabile che, alla firma della “Fase 1”, segano subito i lavori per quella successiva (il presidente Usa Trump sembra infatti voler rimandare il tutto a dopo le elezioni presidenziali, previste il 3 novembre).
Si è fatto un gran parlare dell’impegno cinese per l’acquisto di beni agricoli, ma in realtà gli occhi degli industriali Usa sono puntati sull’accordo completo, che sarà pubblicato nella sua versione integrale solo all’indomani della firma. Si attendono infatti ulteriori acquisti per 80 miliardi di dollari su prodotti manifatturieri, automotive, medicinali e semiconduttori - necessari all’industria della telefonia mobile.
Sorgono tuttavia dubbi sulla reale capacità della Cina di farsi carico degli impegni che, a quanto pare (Pechino ancora non ha confermato le quote di cui si è parlato finora), avrebbe preso. Pechino dovrebbe infatti acquistare, oltre ai già nominati prodotti agricoli, anche materie prime per circa 50 miliardi di dollari; in totale, gli accordi prevedono un impegno per circa 200 miliardi di dollari in due anni.
Per le economie di entrambi i paesi si tratta di una settimana decisamente ricca di dati: oltre a tale accordo, in grado di porre fine a tensioni commerciali in atto da oltre 18 mesi, gli Usa attendono il dati macro sull’indice dei prezzi al consumo di dicembre, i prezzi alla produzione e il volume delle scorte di petrolio, mentre l’Autorità doganale cinese ha pubblicato proprio oggi i dati sull’import/export di dicembre e il saldo della bilancia commerciale.
Com’è la situazione economica della Cina?
I dati di oggi restituiscono un’immagine relativamente positiva per Pechino. Secondo quanto affermato dal vice ministro per le dogane, Zou Zhiwu, l’alleggerirsi delle tensioni con gli Usa avrebbero già dispiegato i propri effetti nelle ultime settimane, favorendo di nuovo il sentiment degli investitori.
A fronte di un aumento, rispetto al dato precedente (37,93 miliardi di dollari), previsto a 48 miliardi di dollari, la differenza tra beni esportati e quelli importati si è fermata a 46,79 miliardi di dollari.
D’altra parte, i dati sulle esportazioni e quelli sulle importazioni fanno ben sperare. L’export di dicembre segna un rialzo rispetto alle previsioni: a dicembre 2018 erano al 3,2%, l’anno dopo hanno raggiunto il 7,6%. Si tratta del dato migliore degli ultimi cinque mesi, lanciando segnali di ottimismo proprio in concomitanza dello scemare delle tensioni commerciali.
Quasi raddoppiata anche la percentuale delle importazioni, passata da 0,5% del 2018 al 16,3% del mese scorso. Gran parte dei guadagni è dovuto all’aumento dei prezzi delle materie prime, ma comunque il dato è di gran lunga maggiore rispetto alle aspettative (del 9,6%).
I dati assumono ancora più rilevanza proprio in considerazione delle trattative commerciali con gli Stati Uniti. Nel 2019 le esportazioni sono aumentate dello 0,5% (nel 2018 erano ammontate al 10%), sintomo di una domanda comunque resistente, ma segnata dal decremento delle vendite verso gli Usa.
Come ha reagito lo yuan?
D’altra parte, i dati macro di stamattina (ora italiana) hanno provocato un apprezzamento dello Yuan, con il cambio verso il dollaro sceso a 6,9009. L’aumento del volume di import ed export infatti ha fatto riprendere quota alla valuta cinese, che torna ad essere utilizzata a livelli maggiori soprattutto anche grazie al fatto che il Dipartimento del tesoro Usa ha depennato la Cina dai paesi “manipolatori di valuta”, titolo che Pechino si era guadagnata da quando, ad agosto 2018, iniziò a svalutare la propria valuta in reazione ai dazi imposti da Washington.
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