La Cina risponde alle sanzioni Usa: cosa ne sarà delle trattative commerciali?
Si acuisce la guerra diplomatica tra le due superpotenze, il 15 agosto incontro per ridefinire i termini dell’accordo di gennaio. Cauti gli indici di Wall Street, con gli occhi sulle prospettive di sussidi fiscali post-covid
Le tensioni con la Cina
Non ci è voluto molto prima che Pechino rispondesse alle ultime provocazioni degli Stati Uniti: alle sanzioni per 11 funzionari cinesi, disposte venerdì sera dal presidente Usa Donal Trump con l'accusa di minacciare le libertà democratiche di Hong Kong, tra cui la governatrice filo-cinese dell’ex colonia britannica, Carrie Lam, la Cina ha risposto con altrettante sanzioni per altrettante personalità statunitensi.
Tra i destinatari figurano i senatori Ted Cruz, Marco Rubio, Tom Cotton, tra gli altri, insieme a esponenti del settore no-profit e dei gruppi per la difesa dei diritti. Lo comunica il ministero degli Esteri di Pechino, senza però chiarire la modalità e l’entità delle sanzioni.
L’ordine esecutivo con cui Trump ha colpito i funzionari cinesi invece prevede il congelamento di qualsiasi asset statunitense in loro possesso, oltre al divieto per gli investitori Usa di portare avanti transazioni con i suddetti.
Si tratta dell’ennesima provocazione che mette a rischio il fragile equilibrio tra le due superpotenze, certificato con l’accordo di “Fase 1” della guerra commerciale, siglato lo scorso 15 gennaio. Non a caso, sembra che tale accordo non sia destinato a durare: il prossimo 15 agosto è previsto un incontro tra i rappresentanti politici delle due parti per rivedere i termini dell’accordo, dopo i dubbi circa la capacità della Cina di onorare quanto accordato dopo i danni della pandemia di Covid-19 all’economia.
Supporto fiscale in arrivo?
Non sono solo le tensioni con la Cina a tenere sotto scacco gli indici di Wall Street. Sale infatti la tensione anche intorno agli ordini esecutivi con cui, durante il fine settimana, il presidente Usa ha disposto il prolungamento degli aiuti fiscali per le famiglie più colpite economicamente dal lockdown anti-coronavirus.
Gli aiuti, implementati la scorsa primavera al momento dell’apice della crisi Covid-19, prevedevano un sussidio da 600 dollari alla settimana per chi ne facesse richiesta, ma sono scaduti a fine luglio. Da allora, il Congresso Usa non è stato in grado di accordarsi per istituirne di nuovi e Trump, che già aveva avvertito di prendere in mano la situazione se un accordo non fosse arrivato entro venerdì, in effetti ha tenuto fede alle sue parole.
Le critiche di Joe Biden, candidato democratico alla carica presidenziale, non si sono fatte attendere. Nel frattempo continua la discussione all’interno del Congresso soprattutto ora che la Camera dei Rappresentanti, a maggioranza dem, si sta sollevando davanti agli ordini esecutivi di Trump, accusandolo di aver platealmente bypassato l’esame da parte dei legislatori.
Trovano inoltre terreno fertile le teorie secondo cui la mossa scadrebbe nella campagna elettorale presidenziale – gli Usa voteranno il prossimo 3 novembre per il rinnovo del presidente. Dopo aver firmato alcuni ordini esecutivi e memorandum per implementare nuovi sussidi di disoccupazione, domenica sera Trump ha per altro dichiarato che l’eliminazione delle tasse in busta paga “potrebbe diventare permanente”, sostenendo che ciò non impatterebbe sulla sicurezza sociale (il piano pensionistico Usa) poiché i programmi verrebbero finanziati da un fondo generale.
Nel frattempo però arrivano buone notizie circa un avvicinamento tra la speaker della Camera, la democratica Nancy Pelosi, e il segretario del Tesoro, il repubblicano Stephen Mnuchin: gli aiuti potrebbero essere estesi fino a gennaio e, dopo la loro scadenza, rimodulati in funzione del loro bisogno a quella data; inoltre, secondo Mnuchin, “Il presidente è determinato a spendere quanto necessario”.
Per ora, la proposta varata da Trump prevedere sussidi federali per 300 dollari a settimana, cui ne andrebbero aggiunti altri 100 da parte delle autorità locali.
Quali conseguenze per i mercati?
A Wall Street gli indici Usa hanno aperto la sessione tonici, salvo poi ritracciare i guadagni con l’S&P 500 che al momento perde lo 0,18% e il Nasdaq in calodell’1,12% (è soprattutto il comparto tech a guardare con sospetto alla prospettiva di revisione degli accordi commerciali Cina-Usa); resiste il Dow Jones, che sale dello 0,80% e si mantiene sui 27.652 punti. A premere sugli indici, oltre alle tensioni sino-statunitensi, c’è anche l’avanzata del Covid-19, con gli Usa che ormai hanno superato i cinque milioni di contagi.
La notizia degli stimoli fiscali si è riversata anche sul mercato valutario: dopo settimane in cui il cambio EUR/USD è arrivato a sfiorare quota 1,19, da venerdì la coppia valutaria è tornata a scendere e al momento viaggia intorno a 1,17. “Uno stimolo contenuto è meglio che niente", scrive l'analista di Commerzbank, Thu Lan Nguyen. "O meglio questa è, per ora, la lettura del mercato e questo spiega perché il dollaro è moderatamente forte”.
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