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Prosegue incessante la discesa del petrolio, con il Crude che torna a quotare sui minimi di agosto 2017, a ridosso dei 46,50 dollari al barile. Non meglio va al Brent che, sceso in area $55,50, ha testato un minimo di giornata a $54,70.
Mercoledì le quotazioni hanno risentito positivamente dei dati pubblicati dall’EIA, l'Energy Information Administration, in calo rispetto alla scorsa settimana e accompagnati da una maggior richiesta di raffinazione e lavorazione della materia prima. Positività, che ha avuto vita breve.
In vista di una chiusura d’anno negativa su vari fronti per i mercati finanziari globali, anche il greggio non accenna a rialzare la testa, sotto il peso di una crescita economica che ha cambiato passo e i timori legati alle diverse incognite che bloccano i mercati (dalla guerra commerciale, all’incertezza Brexit, all’impatto di una minor liquidità sui mercati a partire dal prossimo anno).
Dopo la decisione della Federal Reserve di effettuare un quarto rialzo dei tassi d’interesse a livello 2,25-2,50%, i mercati azionari di tutto il mondo hanno iniziato a scendere, in scia al calo delle speranze di chi auspicava in una politica più accomodante.
Se si guarda a Piazza Affari, Tenaris e Saipem sono tra i titolo peggiori di giornata, con ribassi attorno al 3,5%.
Con un ribasso dei prezzi superiore al 35% a partire da inizio ottobre, gli investitori hanno rapidamente spostato la propria attenzione dal taglio della produzione (disposto dai principali produttori di petrolio a partire dal 2019), al rapido deterioramento dei fondamentali economici e petroliferi, nonché ad un disequilibrio tra output in crescita e livelli di domanda in calo.
Le prospettive ribassiste per le quotazioni del petrolio si sono riflesse anche sulla curva dei futures del Brent, che mostrano prezzi in fase di contango per la scadenza del quarto trimestre 2019; considerato un mercato che ha rallentato il proprio ritmo di acquisti nonostante una fase di contango (in cui i prezzi ad oggi risultano inferiori rispetto a quelli futuri) tale segnale potrebbe indicare una permanenza dei prezzi ad un basso livello per un più lungo arco di tempo.
L'Organizzazione dei Paesi esportatori di petrolio (Opec), assieme alla Russia, hanno concordato ad inizio dicembre la riduzione della produzione di petrolio da 1,2 milioni di barili al giorno (bpd). In attesa di un avvio delle nuove disposizione a partire dal gennaio 2019, tuttavia, i grandi player del greggio hanno elevato la propria attività sui massimi, specie nel caso degli Stati Uniti e dell’Arabia Saudita.
Secondo il ministro saudita per l'energia, Khalid al-Falih, le riserve petrolifere mondiali si ridurranno entro la fine del primo trimestre del nuovo anno, sebbene il mercato resterà vulnerabile a fattori politici, commerciali e speculativi. Con l’interno di far trasparire sul mercato l’operato dei prossimi mesi, l’Opec dovrebbe pubblicare una tabella riportante le quote dei tagli volontari effettuati da membri ed alleati: basterà questo a frenare la discesa?