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Forti vendite sul greggio dopo l’impennata della produzione statunitense, timori sul prossimo meeting dell’OPEC a Vienna
A fine 2016 quando i paesi OPEC e quelli non-OPEC avevano raggiunto uno storico accordo per il taglio della produzione i prezzi del greggio avevano evidenziato un rialzo superiore ai 20 punti percentuali risalendo da 45 e 55 dollari al barile. Molti pensavano a un 2017 con prezzi del greggio crescenti che avrebbero permesso all’industria petrolifera e agli Stati che dipendono dal petrolio di ritornare ai fasti passati.
Invece lo scenario è stato completamente diverso. I prezzi dell’oro nero sono rimasti per mesi bloccati nel range 52-55 dollari al barile per poi scendere regolarmente fino a toccare venerdì a 44 dollari i nuovi minimi da metà novembre 2016.
Qual è stata la principale ragione del calo delle quotazioni del greggio?
In primis il taglio della produzione non ha risolto la situazione di eccesso di offerta che esiste sul mercato. La domanda non ha evidenziato particolari segnali di ripresa con forti dubbi soprattutto sulla Cina (solamente l’India sembra poter trainare la domanda). L’offerta di petrolio è rimasta su livelli alti a causa della ripresa della produzione statunitense. Gli imprenditori di shale oil, tagliati fuori dal mercato quando il greggio quotava sotto i 30 dollari al barile, sono ritornati ad essere operativi.
Osservando i dati di Baker Hughes sulle trivelle attive possiamo segnalare come negli Stati Uniti siano salite fino a 877 ben 462 in più rispetto all’anno precedente, sono picchi che non si evidenziavano da oltre due anni.
Lo stesso direttore dell’Agenzia Internazionale sull’Energia (IEA), Fatih Birol, aveva allarmato già nel mese di marzo su un possibile forte ritorno degli Stati Uniti come importante player nel mercato petrolifero soprattutto dopo l’insediamento di Donald Trump.
Il prossimo meeting dell’OPEC a Vienna è previsto per il 25 maggio. Il ministro del petrolio saudita Khalid Al Falih ha già dichiarato di avere intenzione di prolungare i tagli alla produzione anche per tutto il 2017 proprio per ridurre le pressioni ribassiste sui prezzi del greggio.
Crediamo che i membri del cartello possano anche raggiungere un nuovo accordo sulla produzione, tuttavia, riteniamo che, nel medio-lungo periodo, tale intesa non possa avere un effetto rilevante sulle quotazioni dell’oro nero.
Da inizio anno i titoli azionari, a livello globale, legati al petrolio evidenziano dei forti ribassi. Discorso un po’ diverso per quelli italiani. Saipem e Tenaris sono quelli che hanno seguito di più l’andamento dei prezzi del greggio (Saipem -25%, Tenaris -18%). Eni è riuscito a difendersi bene perdendo solamente 5 punti percentuali in attesa della pubblicazione dei conti trimestrali che saranno annunciati mercoledì 10 maggio. Saras ha mostrato un 2017 particolarmente positivo ritornando al di sopra di 2 euro. Molto bene Erg (ormai energetico ma non petrolifero) che dopo la lunga ristrutturazione che l’ha portato ad abbandonare il greggio per le energie rinnovabili ha segnato un aumento superiore ai 10 punti percentuali in attesa di conoscere la chiusura del dossier sulla cessione dei punti vendita della rete Total Erg (valutata attorno ai 700 mln di euro).
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