Prezzo del petrolio: un tweet vale più di un taglio dell'Opec
Greggio in calo al 3% dopo il tweet di Donald Trump: serve un Opec più rilassato sul taglio dei barili al giorno; secondo il Tycoon, prezzi più alti sono più pericolosi. Usa toccano intanto il record di produzione a gennaio.
Prezzo del petrolio in calo. Colpa dell’Opec? No, “merito” di Donald Trump.
Il greggio statunitense ha registrato un netto calo nelle prime ore del pomeriggio, passando dal territorio positivo, fino ad un ribasso del 3%, al di sotto dei 56 dollari al barile, area $55,50.
Nonostante le influenze positive sortite dall’annuncio di Donald Trump, intenzionato a raggiungere un accordo con la Cina alla luce dei diversi passi avanti compiuti dai due Paesi sul fronte commerciale, il petrolio ha invertito la propria rotta, tornando sui livelli di metà febbraio.
A muovere il mercato, ancora una volta, un tweet del Presidente americano preoccupato dei recenti rialzi del greggio. Trump, che nel suo ha potuto gioire la scorsa settimana all’annuncio di una produzione di petrolio americano sui massimi di sempre (circa 12 milioni di barili al giorno a gennaio), ha esortato l'Organizzazione dei principali produttori di petrolio, l’Opec, a "rilassarsi" e ad interrompere la propria politica di taglio alla produzione (1,2 milioni di di barili al giorno suddivisi tra Opec e Russia).
A partire dall’inizio del 2019, i prezzi del greggio sono aumentati oltre il 20%, grazie agli sforzi dell’Opec. C’è tuttavia da scommettere che Trump spingerà affinché i rubinetti del crude restino aperti. Tra le altre, ad avere un primario interesse in un rialzo dei prezzi è l’Arabia Saudita che, oltre ad aver preventivato un ritorno del prezzo del greggio stabilmente al di sopra della soglia degli $80 al barile (per raggiungere il pareggio di bilancio), deve iniziare a fare i conti con la più grande Ipo della storia, quella di Saudi Aramco, il cui valore d’offerta verrà determinato, hanno dichiarato fonti interne, in base al prezzo corrente di mercato del greggio.
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