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Prezzo del petrolio in calo: perché il barile è tornato sotto ai 40 dollari?

Le importazioni da parte di Pechino di petrolio a basso prezzo, quando il barile viaggiava ai minimi storici, potrebbero aver portato la Cina a non aver più bisogno nell’immediato di greggio. A chi vendere, ora?

Piattaforma petrolifera Fonte: Bloomberg
  • A settembre la Cina prosegue con i tagli alle importazioni: è il secondo mese consecutivo
  • I timori sull’espansione dei nuovi contagi da covid-19 non aiuta le prospettive di ripresa della domanda
  • Saudi Aramco reagisce con un taglio dei prezzi del petrolio che estrae

Quinta sessione di fila in calo per il prezzo del petrolio, con il benchmark statunitense Wti attualmente sotto alla soglia (faticosamente conquistata negli ultimi mesi) dei 40 dollari al barile, a 38,27 dollari. Poco migliore la situazione per il Brent, le cui quotazioni perdono oltre mezzo punto percentuale e viaggiano a 41,30 dollari al barile.

Perché il prezzo del petrolio sta scendendo?

Due sono i fattori che più di tutti stanno premendo sul greggio: da una parte le continue incertezze sulla ripresa della domanda all’indomani della crisi, tuttora in corso, scatenata dalla pandemia di coronavirus; dall’altra, la mossa unilaterale con cui la compagnia petrolifera di bandiera saudita, Saudi Aramco, ha tagliato il prezzo dell’Arab Light, il petrolio che produce destinato principalmente al mercato asiatico. A collegare le due cause, il ruolo di rilievo della Cina.

Petrolio a sufficienza per l’industria cinese?

Sono ormai due mesi che Pechino ha iniziato a ridurre le importazioni di greggio dall’estero. La Cina, le cui fonti di energia sono ancora incentrar soprattutto sul carbone e che, dunque, dipende fortemente dal petrolio in arrivo dall’esterno, dalla scorsa primavera aveva aumentato esponenzialmente gli acquisti, approfittando della crisi del prezzo del barile (scaturita dallo stop agli spostamenti in seguito al lockdown e, soprattutto, dalla guerra al ribasso tra Russia e Arabia Saudita sulla produzione).

A quanto pare, le scorte cinesi ora sono state ben rimpinguate. Allo stesso tempo, parte dell’accordo commerciale Cina-Usa prevede ancora massicce importazioni da parte di Pechino del greggio Usa – si parla di acquisti previsti di circa 20 milioni di barili ad agosto e settembre. Nei primi sei mesi del 2020, Pechino ha acquistato solo il 5% del totale di prodotti stabiliti con la tregua commerciale dello scorso 15 gennaio.

Nessuno può dire con certezza quanto petrolio sia conservato nei siti di stoccaggio cinesi. In assenza di report ufficiali, un calcolo dell’agenzia di stampa Reuters (che prende in considerazione e importazioni e la produzione domestica, senza passare per la capacità di raffineria), a luglio le scorte cinesi sarebbero ammontate a 1,92 milioni di barili al giorno – un valore molto vicino alla media di gennaio-luglio, 1,95 milioni di barili al giorno, sebbene lontano dai livelli del mese precedente, 2,77 milioni di barili al giorno.

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E nessuno può neanche prevedere con certezza quanto petrolio la Cina abbia ancora intenzione di importare: con la fine dell’estate anche l’attività industriale cinese ha iniziato a dare segni di una rinnovata vivacità, dopo il duro colpo del covid-19 – il che aveva portato a pensare che il volume delle importazioni avrebbe comunque continuato a beneficiarne.

Quel che è certo è che, negli ultimi giorni, gli acquisti da parte del primo paese importatore di petrolio sono diminuite. “Di conseguenza il Brasile ha diminuito le esportazioni”, spiega Pietro Bellotti, Premium Client Manager di IG. “Saudi Aramco ha abbassato il prezzo di vendita del proprio petrolio – continua - e ci sono dubbi sulla tenuta dell' Opec+ ai tagli della produzione. Torna insomma a profilarsi lo spettro di oversupply all'orizzonte, considerando inoltre che i mercati stanno scendendo e i casi di covid-19 aumentano: l’India, grosso importatore di petrolio, ha avuto un altro aumento record di casi e ha superato il Brasile, passando al secondo posto a livello mondiale”.

Come ha reagito l’Arabia Saudita?

All’inizio della settimana l’agenzia di stampa Bloomberg ha riportato l’intenzione da parte dell’Arabia Saudita di tagliare il prezzo del petrolio estratto dalla compagnia di bandiera Saudi Aramco.

All’origine della decisione, le incertezze sull’effettiva ripresa della domanda globale dopo che, nelle ultime settimane, anche l’Iea (International Energy Agency) ne ha certificato lo stallo – e il rallentamento dell’import da parte della Cina non è estraneo a tale tendenza, tutt’altro. Già nel report di agosto, l’agenzia internazionale aveva calcolato un calo della domanda globale di greggio pari a circa 140 mila barili al giorno rispetto alle stime del mese precedente.

Non solo: pesa anche il fatto che, in oltre trent’anni, le esportazioni di petrolio saudita negli Stati Uniti non siano mai state così basse come entro l’agosto di quest’anno – passando da circa 1,3 milioni di barili al giorno a una media giornaliera di 177 mila barili.

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