Prezzo del petrolio in calo, pesano le cattive notizie sulla crescita globale
Male il settore manifatturiero in Usa e Ue, situazione in Medio Oriente più distesa e il greggio scende
Giù il prezzo del petrolio, che arriva a toccare -2,26% (ETFS Brent Crude a 57,40 dollari al barile) e -2,51% (ECOILW-UK a 52,25 dollari al barile). Si tratta dei livelli più bassi da inizio settembre e si inseriscono in un trend negativo che prosegue da settimane, risultato di una serie di concomitanze politico-economiche succedutesi negli ultimi giorni. Dai massimi del 16 settembre i corsi dell’oro nero hanno evidenziato un ribasso di quasi 20 punti percentuali, ricoprendo totalmente il gap apertosi dopo l’attacco alle infrastrutture di Saudi Aramco.
Il rallentamento della crescita economica fa scendere il prezzo del petrolio
Gli ultimi dati macroeconomici hanno consegnato un’immagine delle principali economie globali particolarmente negativa. I dati sull’indice ISM manifatturiero statunitense, sceso a 47,8 punti (ben al di sotto delle aspettative, che prevedevano almeno 50 punti), hanno seguito di pochi giorni quelli sul comparto manifatturiero europeo, soprattutto quello tedesco: una performance da 41,7 punti, deludente rispetto ai 43,5 di agosto. Si tratta del valore più basso dal 2009 e ha trainato dietro di sé il resto del Vecchio Continente: nell’area euro, l’indice finale di settembre si assesta a 45,7, a fronte dei 47 punti di agosto.
Quanto ha inciso l’attacco ai giacimenti in Arabia Saudita?
Tale rallentamento dell’economia globale si è tradotto in un forte abbassamento del prezzo del greggio. Ricordiamo, tuttavia, come le quotazioni del WTI Light Crude erano schizzate a oltre 63 dollari al barile dopo gli attacchi della seconda metà di settembre ai due principali siti di produzione del petrolio dell’Arabia Saudita. Il prezzo del greggio, aumentato di oltre il 10% nelle ore immediatamente successive all’attacco, in realtà è rientrato nell’arco di pochi giorni. La compagnia petrolifera governativa, Saudi Aramco, sembra stia infatti riuscendo a recuperare i danni, così da non dover attingere in maniera massiccia alle riserve strategiche – nei giorni immediatamente successivi all’attacco, si parlava di attingere a circa la metà di tali risorse per scongiurare un aumento incontrollato del prezzo del greggio.
La strategia a lungo termine della Norvegia
Nel frattempo, è di ieri la notizia che il Fondo sovrano norvegese ha dato il via libera per iniziare a disinvestire su alcune compagnie attive nei siti di produzione del Mare del Nord. Si tratta in realtà di una strategia già annunciata nel 2017, in vista di un graduale passaggio dall’estrazione di idrocarburi a fonti di energia alternative. Un grande passo per uno stato che deve gran parte della propria ricchezza, che ha reso possibile l’implementazione di politiche sociali assunte a modello globale, proprio grazie all’estrazione del petrolio. Al momento, il governo norvegese ha annunciato il ritiro della propria partecipazione da 95 compagnie petrolifere, liberando così circa 5,4 miliardi di euro.
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