Prezzo del petrolio in calo, scorte Usa peggiori del previsto
Cali di oltre il 3% sul greggio dopo i dati sulle riserve statunitensi. La paura di un nuovo lockdown per covid minaccia la domanda, le tensioni geopolitiche aggravano la situazione
Le quotazioni del barile procedono in ribasso oggi a pochi minuti dalla pubblicazione delle scorte da parte dell’Energy Information Administration, l’istituto indipendente degli Stati Uniti per il monitoraggio delle materie prime.
Nella settimana che si è conclusa lo scorso 16 ottobre, le scorte di petrolio Usa sono scese di circa un milione di barili, al di sotto di quanto previsto dal consensus (1,02 milioni di barili) e meno rispetto alla settimana precedente, quando il calo era ammontato a 3,82 milioni di barili.
Migliora la situazione nell’inventario di Cushing, in Oklahoma, il sito di stoccaggio principale degli Stati Uniti, dove si contano solo 975 mila barili in più (le attese erano per aumento di 1,18 milioni di barili), mentre le scorte di prodotti raffinati scendono di ben 3,83 milioni di barili.
Ieri anche i dati dell’Api, l’American Petroleum Institute, hanno messo in luce un aumento delle scorte pari a 584 mila barili, in contrasto con gli analisti intervistati da Reuters che si aspettavano una flessione pari a un milione di barili. Il totale ammonta ora a 490,6 milioni di barili di greggio.
Come si stanno muovendo le quotazioni del petrolio?
I dati di oggi e l’incertezza a livello globale fanno precipitare il prezzo del greggio ai minimi da una settimana, con il Wti che perde il 3,65% e scende a 40,11 dollari al barile mentre il Brent lascia sul terreno il 3,20%, a 41,78 dollari.
La recrudescenza della pandemia di covid-19 non fa che peggiorare la situazione. Ieri i contagi hanno superato i 40 milioni in tutto il mondo e in Europa in questi giorni entrano in vigore le prime misure restrittive per tentare di contenere i nuovi casi.
Si teme dunque per eventuali, nuovi lockdown e per le conseguenze che ne deriverebbero dal punto di vista economico – ed energetico.
Dall’inizio dell’anno, quando il virus è iniziato a diffondersi a macchia d’olio in tutto il mondo, il prezzo del petrolio è sceso di circa il 37% (il Wti) e del 36% (il Brent), aggravato dalla guerra dei prezzi che, tra marzo e aprile, ha visto contrapporsi Arabia Saudita e Russia.
Per mettere fine alle ritorsioni e supportare il prezzo del petrolio, che nel frattempo era arrivato a scendere persino al di sotto dello zero, i paesi dell’Opec+ hanno dunque accordato un programma di tagli alla produzione – 9,7 milioni di barili al giorno in meno fino a luglio, che poi è diventato agosto, per poi passare a un taglio di 7,7 barili che, dall’anno prossimo, diventeranno 5,8 milioni al giorno.
Ma proprio sopra le forniture di greggio si accavallano le nubi più scure. Il ministro dell’Energia russo, Alexander Novak, ha dichiarato che sarebbe ancora troppo presto discutere del futuro dei tagli alla produzione globale – a breve distanza dall’invito, proprio da parte di Mosca, a un’implementazione del piano dei tagli.
Nel frattempo, a pesare sul greggio in circolazione c’è anche la situazione geopolitica in Libia. Esente dalle misure riduttive, lo smantellamento dell’occupazione militare da parte dei soldati del generale Khalifa Haftar, uomo forte della cirenaica e contrapposto da anni in una guerra civile contro il leader riconosciuto a livello internazionale, Fayez al-Sarraj, ha portato a un forte incremento nelle ultime settimane della produzione di petrolio libica, che aggrava ancora di più la situazione della domanda globale.
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