Quotazioni del petrolio in rialzo, nuove tensioni in Libia all’orizzonte
Il passaggio dell’Uragano Sally negli Usa, i siti petroliferi in Libia occupati dalle milizie di Haftar e il recupero della domanda di greggio sempre più stentato: il rialzo del petrolio potrebbe non essere destinato a durare
Terza giornata consecutiva di rialzi per il prezzo del petrolio, che torna di nuovo a sfondare il tetto dei 40 dollari al barile, sotto cui viaggiava dall’inizio di settembre.
A spiegare gli ultimi rialzi intervengono una serie di fattori, financo puramente climatici – come il passaggio dell’uragano Sally nel golfo degli Stati Uniti, che ha provocato la chiusura di circa il 25% dei siti di estrazione statunitensi.
Più di tutto però sono riusciti ad ottenere i membri dell’Opec, o per lo meno i più ligi ai tagli della produzione. Durante la riunione di giovedì infatti i membri dell’organizzazione dei principali esportatori di petrolio, Arabia Saudita in testa, hanno richiamato all’ordine i meno entusiasti della direttiva con cui, da agosto, l’estrazione di greggio dovrebbe diminuire di 5,5 milioni di barili al giorno – avranno tempo fino a dicembre di quest’anno per rientrare nei valori stabiliti lo scorso aprile, in piena crisi petrolifera.
È così che ieri il prezzo del petrolio ha osservato un rialzo tra il 3,54% (il Wti) e il 2,32% (il Brent), nonostante il cessato pericolo negli Usa abbia fatto tornare la produzione a pieno regime.
La produzione è sotto controllo. Ma la domanda?
D’altra parte, gli analisti iniziano a intravedere ombre sempre più minacciose per il prezzo del greggio. Non sono più solo i livelli di produzione a preoccupare gli analisti - bensì anche il livello della domanda: che, stando agli ultimi report, osserverà una ripresa particolarmente lenta e non tornerà ai livelli pre-crisi fino al 2022.
Anche Alexander Novak, ministro dell’Energia russo, ha riconosciuto che la domanda di petrolio, per quando attesa (secondo le autorità russe) in recupero entro il secondo trimestre del 2021, ha comunque subito nelle ultime settimane un leggero rallentamento.
Al momento, quello su cui l’Opec+ (nella sua composizione allargata agli alleati, primi fra tutti Russia e Kazakhstan) può concentrarsi è il monitoraggio delle scorte globali, pilotate tramite precisi tagli alla produzione che, da aprile, hanno ridotto la quantità di greggio estratto di 9,7 milioni di barili al giorno fino ad agosto, per poi scendere a 5,5 milioni di barili al giorno – i tagli si allungheranno almeno fino al 2021.
Dall’introduzione dei tagli, il prezzo del greggio è aumentato di circa il 90% per il Brent, mentre il West Texas Intermediate statunitense (il cui valore, al tempo della guerra dei prezzi tra Arabia Saudita e Russia, in concomitanza con la crisi scaturita dalla pandemia di coronavirus, era arrivato al di sotto dello zero) ha guadagnato oltre il 200%.
Cosa sta succedendo in Libia?
Nel frattempo, la situazione politica in Libia torna a farsi incandescente: Fayez al-Sarraj, a capo del (sempre più debole Governo di Accordo Nazionale, spalleggiato dalle Nazioni Unite), si trova infatti a fare i conti con i principali siti di estrazione di petrolio libico occupati dalle forze militari dell’uomo forte della Cirenaica, il generale Khalifa Haftar, il cui esercito a gennaio ha di fatto bloccato l’export libico di petrolio – principale risorsa del paese.
Dall’inizio dell’anno, la produzione di petrolio in Libia è passata da 1,2 milioni di barili al giorno a soli 100 mila barili. Nelle ultime settimane le due fazioni (e relative forze alleate: dalla parte di Tripoli Nazioni Unite, Turchia, Unione Europea, Italia; da quella di Tobruk Egitto, Emirati Arabi, Russia e Francia, tra gli altri) hanno tentato di raggiungere un accordo per ripristinare i flussi in uscita di greggio, che però si sono risolti in un nulla di fatto.
Come si sta muovendo al momento il prezzo del petrolio?
Nelle ultime ore il prezzo del barile è tornato ai massimi di inizio settembre, con il Wti a 41,30 dollari al barile e il Brent che vien scambiato per 43,38 dollari.
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