Tensioni in Medio Oriente, non sarà guerra mondiale (ma beni rifugio toccano cifre da record)
Il prezzo dell’oro è arrivato ai massimi dal 2013, il petrolio (Brent) ha sfondato i 70 dollari al barile e anche il palladio segna cifre da record. Ma una risposta da parte dell’Iran si fa sempre meno probabile
È davvero la terza guerra mondiale?
L’uccisione del generale iraniano Quassem Soleimani, leader delle Guardie Rivoluzionarie e delle Quds Forces, avvenuta venerdì notte con un raid degli Stati Uniti all’aeroporto di Baghdad, tiene ancora i mercati cauti. Eppure l’enfasi con cui, nelle ore immediatamente successive all’attacco, si è parlato di “terza guerra mondiale”, sembra ormai scemata.
Il segretario del Consiglio nazionale supremo di sicurezza iraniano ha fatto sapere di aver già pronti 13 “scenari di rappresaglia”, ma nei fatti la possibilità di un attacco è sempre meno probabile. Gli Usa, dall’altro lato, hanno annunciato di aver individuato già 52 bersagli strategici da colpire in caso di reazione e il rischio di escalation è troppo alto per dare inizio a una serie di azioni botta-e-risposta.
Inoltre, Teheran potrebbe non desiderare ulteriori minacce alla propria produzione petrolifera. Provocare un attacco Usa alle infrastrutture provocherebbe un aumento del prezzo del greggio tale da diventare nocivo per le esportazioni. Già negli ultimi giorni il prezzo dell’oro nero ha subito un aumento di oltre il 3%: un ulteriore rialzo potrebbe provocare ripercussioni anche a livello interno all’Opec – Teheran è tra le più riottose ad accettare il taglio della produzione petrolifera, fortemente voluto dall’Arabia Saudita.
L’Iran è tra il sesto e il settimo posto per estrazione di petrolio (dopo Stati Uniti, Arabia Saudita, Russia), con un quinto del greggio mondiale che passa attraverso lo stretto di Hormuz - snodo fondamentale per il passaggio delle petroliere. Secondo fonti anonime (riportate dal sito d’informazione russo Vedomosti), proprio il blocco di tale stretto sarebbe tra le alternative di risposta all’attacco Usa.
Ma si paventano ripercussioni anche indirette. L’Iran potrebbe fare pressioni su Arabia Saudita e Israele, roccaforti Usa in Medio Oriente. Il rischio, tuttavia, è quello di una definitiva morte di qualsiasi accordo tra l’Iran e i paesi delle Nazioni Unite, in caso di attacchi di risposta spropositati.
Con l’uccisione di Soleimani muore anche l’accordo sul nucleare. Il presidente Usa Donald Trump se ne era già tirato fuori nel 2018 e, ora, anche Teheran ha fatto sapere di voler tornare ai precedenti livelli di arricchimento dell’uranio. Francia, Germania e Regno Unito hanno provato a far tornare i presidente iraniano Hassan Rouhani sui propri passi, senza troppo successo.
Perché gli Usa hanno attaccato l’Iran?
Tutto è cominciato (o, meglio, è ripreso) la settimana scorsa, quando gli Usa hanno colpito cinque basi militari afferenti a truppe Hezbollah Kataib, due in Siria e tre in Iraq. L’attacco ha scatenato proteste davanti all’ambasciata statunitense a Teheran, quando i manifestanti hanno cercato di penetrare nella struttura e il presidente Usa Donald Trump ha minacciato “serie conseguenze per eventuali danni a persone o cose”.
Il raid statunitense arriva dopo settimane di relativa quiete, da quando, a metà settembre, un attacco da parte dei ribelli yemeniti Houthi (presumibilmente architettato dall’Iran, come sembra dall’analisi dei resti di droni sul luogo dell’attacco) ha distrutto una parte rilevante dei siti di estrazione del gigante petrolifero saudita, Saudi Aramco.
Come si sta comportando il mercato delle materie prime?
Le tensioni in Medio Oriente hanno fatto salire il prezzo del petrolio ai massimi da tre mesi (raggiunto lunedì), mentre l’oro è tornato a scendere solo oggi.
Il Metallo prezioso, dopo aver raggiunto ieri un picco di 1.589,18 dollari l’oncia (il massimo da quasi sette anni), oggi si assesta a quota 1.565 dollari l’oncia. Al salire delle tensioni, dunque, riprende la corsa ai beni rifugio. Oltre all’oro infatti segna picchi da record anche il palladio, che ha sfondato la soglia dei 2.000 dollari l’oncia (2,037 oggi).
Scende invece il petrolio: dopo i massimi raggiunti tra domenica e lunedì (64,55 dollari al barile il Wti, il massimo da aprile 2019, 70,53 dollari al barile il Brent, non si vedeva da settembre 2019), il prezzo del greggio è tornato a rispettivamente a 62,70 e 68,39 dollari al barile.
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