I crack finanziari passati
La storia dei mercati finanziari è ricca di casi di malagestione e attività illecite che hanno causato disastrosi crolli. Conoscerli può aiutare ad individuare i futuri tracolli societari.
I fallimenti del passato negli Usa
Enron
Lo scandalo Enron fu un duro colpo per la credibilità dell’economia americana durante la bolla delle società tecnologiche che aveva già sconvolto i mercati. Enron era una compagnia energetica, all’apparenza solidissima, che però fallì miseramente nel 2001 a causa di attività fraudolente interne all’azienda.
I manager avevano adottato uno schema che utilizzava società fittizie situate in paradisi fiscali per permettergli di gonfiare i ricavi ed evadere le tasse. L’attività fraudolenta coinvolse anche le società di revisione contabile e membri dell’attività politica americana.
Lo scandalo emerse quando i vertici aziendali, a conoscenza delle pratiche illegali, cominciarono a vendere le azioni della società sebbene queste venissero ancora raccomandate caldamente agli investitori esterni.
Il fallimento della società, successivamente messa in liquidazione, causò gravi effetti in tutta l’economia americana con la compagnia che aveva accumulato ben $10 miliardi di debiti nei confronti di diversi istituti finanziari in tutto il mondo.
Le conseguenze economiche furono quindi molto deleterie per l’economia americana sebbene non fu innescata una diretta crisi economico-finanziaria.
Worldcom
Subito dopo la questione Enron si scoperchiò un altro caso molto simile che coinvolgeva la società di telecomunicazioni WorldCom. Al suo apice, questa controllava circa il 50% del traffico su Internet negli Stati Uniti e il 50% delle e-mail mondiali.
Nel 2002, la società dovette ammettere di aver inflazionato i propri asset di $11 miliardi quando il dipartimento di contabilità aziendale scoprì entrate fittizie pari a $3,8 miliardi. Lo schema, capitanato dal fondatore della stessa WorldCom Bernard Ebbers, aveva lo scopo di mantenere elevati i prezzi delle azioni e mascherare quindi il declino dei ricavi della società che soffriva della concorrenza di nuovi attori emergenti nel mondo del web.
All’epoca fu il più grosso scandalo contabile negli Stati Uniti, superato solo nel 2008 dal fallimento di Washington Mutual.
Lehman Brothers
La crisi del 2008 innescata dal fallimento di Lehman Brothers, una delle maggiori banche di investimento americane, ha avuto ripercussioni gravissime sull’intera economia mondiale destabilizzando l’intero sistema finanziario e bancario a tal punto da generare un crollo completo.
La vicenda ha le radici nelle attività di speculazione sui mutui ipotecari (i famigerati MBS - Mortgage Backed Securities, conosciuti anche come subprime) che avevano creato enormi opportunità di guadagno per tutte le istituzioni finanziarie interessate nel settore dell’intermediazione creditizia.
In sostanza, le banche commerciali offrivano mutui anche a famiglie ed individui che non erano in grado di ripagare completamente il prestito concessogli (da qui il nome di subprime). Successivamente, lo schema prevedeva una successiva “cartolarizzazione” dei mutui scadenti all’interno di obbligazioni strutturate che venivano poi rivendute sul mercato agli ignari investitori.
Il processo di cartolarizzazione permetteva dunque alle banche di trasformare una potenziale perdita (i prestiti difficili da recuperare) in grossi guadagni (le obbligazioni piazzate sul mercato). Inoltre, la complicità di altre società finanziarie, tra cui le blasonate agenzie di rating che etichettavano le obbligazioni ricche di titoli spazzatura come solidissime, hanno causato un’esasperazione di questo processo che alla fine ha portato alla crisi vera e propria.
Lehman Brothers fu infatti solo una delle tante banche a livello mondiale ad essere coinvolta nello scandalo dei mutui subprime che, data l’importanza del settore bancario per la stabilità del sistema economico-finanziario, ha poi causato la Grande Crisi Finanziaria globale con conseguenze che si sono allargate a macchia d’olio in tutti i settori economici. La banca era in una situazione estremamente peggiore rispetto alle concorrenti a causa del mancato risk management delle sue operazioni.
La banca americana, al contrario delle sue concorrenti, fu fatta fallire con l’intenzione del regolatore che era quella di non incentivare le banche a prendere rischi eccessivi su garanzia di un bail-out pubblico.
Questo causò non solo un drastico calo delle Borse ma anche un massiccio intervento economico da parte delle banche centrali in modo da evitare una nuova Grande Depressione.
Washington Mutual
Il crollo di Washington Mutual, banca americana, fu uno degli effetti disastrosi generati dalla Grande Crisi del 2008. Al momento del crollo l’istituto possedeva $307 miliardi in asset e ben $188 miliardi in depositi e fu successivamente chiusa dalle autorità statunitensi. Fu il più grande crollo societario nella storia degli Stati Uniti.
Il gruppo subì significative perdite dovute agli effetti della crisi dei mutui subprime che aveva creato una bolla speculativa nel mercato immobiliare americano. I prestiti facilmente concessi ad individui poco meritevoli avevano creato un mercato enorme per i titoli cartolarizzati, i cosiddetti CLO - Collateralized Loan Obligations, che tuttavia portarono al fallimento del gruppo finanziario una volta che “il castello di carte” crollò.
Il collasso generò una tremenda corsa agli sportelli con la società che assistette al ritiro di ben $16,7 miliardi di depositi nel giro di dieci giorni. A settembre 2008 le sue azioni scivolarono fino a valere pochi centesimi cosa che indusse gli azionisti a chiedere il ricorso alla bancarotta assistita (Chapter 11).
Le conseguenze furono disastrose e aggravarono una situazione già di per sé critica. Infatti, solo undici giorni prima la banca d’affari Lehman Brothers aveva chiuso i battenti decretando l’inizio della Grande Crisi Finanziaria i cui effetti si protrassero per molti anni sull’economia reale e generarono innumerevoli instabilità anche sui mercati finanziari.
E in Italia?
Banco Ambrosiano
Istituto di credito nato con una forte impronta cattolica, deve la sua nomea al crack finanziario avvenuto a partire dal 1977. In particolare, dal 1971, sotto la direzione dell’amministratore delegato Roberto Calvi, la banca condusse spregiudicate manovre finanziarie che la portarono a diventare una holding finanziaria.
Nello specifico, Calvi si interessò al mondo dei paradisi fiscali, in cui creò uno schema di società di comodo da cui cominciò ad effettuare finanziamenti illeciti a realtà politiche ed economiche poco affidabili. Non ultimo, il Banco Ambrosiano fu coinvolto anche in un’alterazione dei propri conti societari, fattore che acuì gli effetti del successivo disastro. Nel 1977, le accuse su malfunzionamenti interni all’istituto causarono una prima crisi, con una corsa agli sportelli poi rientrata grazie alle garanzie e ai prestiti da ben $150 milioni messi a disposizione da BNL ed Eni.
I problemi si trascinarono fino al 1982 quando l’istituto venne messo in liquidazione e risultò che il debito della miriade di società offshore verso la banca ammontava a ben $1,2 miliardi.
Alla fine, si scoprì un intreccio enorme di interessi con Calvi (risultato iscritto alla loggia P2) che aveva chiesto molti prestiti anche alla malavita romana in modo da coprire i buchi di bilancio dell’istituto. All’interno dello scandalo finì anche lo IOR (Istituto per le Opere di Religione), il maggior azionista del Banco Ambrosiano, e proprietario di molte delle società offshore al centro dello scandalo.
Roberto Calvi scappò a Londra e fu trovato impiccato in circostanze mai chiarite sotto al Blackfriars Bridge.
Gli effetti furono quindi disastrosi verso i creditori dell’istituto ma anche nei confronti dei depositanti insieme a quelli sull’intero indotto europeo.
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