Inflazione Stati Uniti sale meno delle aspettative al +7,1% a/a
Le pressioni inflazionistiche negli Stati Uniti sono cresciute meno delle attese del consensus mostrando un rallentamento rispetto al mese di ottobre.
I risultati
Nel mese di novembre l’indice dei prezzi al consumo negli Stati Uniti è salito meno delle aspettative al +7,1% a/a, valore più basso dal dicembre 2021, contro le stime del consensus che si attendevano un aumento al +7,3% a/a. Il dato di ottobre era risultato al +7,7% a/a.
Su base mensile, il CPI (Consumer Price Index) è cresciuto del +0,1%, meno delle attese ferme al +0,3% (+0,4% ad ottobre).
L’indice Core, invece, che misura il tasso di crescita dei prezzi escludendo i volatili panieri degli energetici e degli alimentari, è aumentato del +6% su base annuale (stime ferme al +6,1%) mentre mese su mese è cresciuto del +0,2%, dato più basso da agosto 2021, (+0,3% atteso dal mercato).
I dati di oggi sulle pressioni inflazionistiche statunitensi mostrano quindi un generale raffreddamento dei prezzi nella prima economia mondiale. Ciò è stato dettato principalmente da un calmieramento nelle quotazioni delle materie prime energetiche (in particolare del petrolio) ma anche dall’effetto della politica monetaria restrittiva intrapresa dalla Federal Reserve che, da marzo scorso, ha alzato i tassi di interesse fino all’attuale livello del 3,75%-4%, massimo dal 2008.
Il rallentamento del CPI a novembre si fa dunque ancora più evidente e ciò potrebbe confermare definitivamente l’intenzione della Fed di rallentare l’intensità dei rialzi dei tassi di interesse nelle prossime riunioni.
Dopo la pubblicazione del dato, la probabilità di un rialzo dei tassi da 50 punti base - stimata da CME FedWatch Tool - è salita al 79,4% rispetto al 73,5% di ieri.
Gli effetti sui mercati
Al momento dell’annuncio, le Borse europee sono infiammate dal dato sull’inflazione USA con l’Italy 40 che sale del +2% per poi ripiegare al +1,4%, il France 40 segna +1,3% e il Germany 40 +1,6%. Fanalino di coda il FTSE 100 di Londra con un +0,3%.
Nonostante ciò, le piazze finanziarie europee continuano ad estendere i guadagni e ora Milano guadagna il +1,91% a 24.800 punti, Francoforte segna il +2% a 14.606, Parigi sale del +1,87% a 6.783 mentre Londra si riprende e cresce di quasi un punto percentuale a 7.518 punti.
Anche i futures dei principali indici statunitensi sono in massiccio rialzo. Nel premarket lo US Tech 100 avanza del +3.83% dopo aver toccato un massimo a 12.258 punti mentre lo US 500 è a 4.106 (+2,88%) mentre all’apertura di Wall Street i due indici salgono rispettivamente del +3,4% e del +2,4%.
Sul lato valutario, dopo il rilascio del dato, l’EUR/USD sale di 70 pips oltre la soglia di 1,06 ma tocca un picco intraday a 1,0662 prima di ripiegare leggermente a 1,0640.
Forti acquisti anche sul mercato obbligazionario dell’Eurozona con il prezzo dei titoli decennali italiani che sale molto mentre il rendimento è sceso al 3,69% dal 3,82% dell’apertura (il prezzo delle obbligazioni e i loro rendimenti sono correlati negativamente). Scende anche lo spread BTP-Bund che tocca i 183 punti.
Le previsioni sulla riunione del FOMC
Alla luce dei dati di oggi sul CPI statunitense, l’attesa per domani si fa ancora più pressante. Il mercato ha ormai quasi la certezza di un aumento da 50 punti base. Questo è pressoché confermato sia dalle previsioni del consensus (probabilità di un aumento dello 0,50% al 79,4%) sia dalle parole di Powell che durante l’ultimo discorso alla Brookings Institution aveva segnalato l’importanza di un rallentamento dei tassi della Fed già nella riunione di dicembre.
Dal nostro punto di vista, continuiamo a rimanere dell’idea che il FOMC, nella riunione di domani, alzerà il costo del denaro di 50 punti base fino al livello del 4,25-4,50%. Inoltre, dal 2023, l’intensità dei rialzi potrebbe attestarsi tra i 25 e i 50 punti base ma crediamo che sarà adottato un generale rallentamento nelle prossime riunioni fino al raggiungimento del tasso di interesse neutrale (intorno al 5-5,25%).
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