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Inflazione USA balza sopra le attese a +9,1% anno su anno

Le pressioni inflazionistiche hanno superato le attese del consensus toccando un massimo dal 1981. Ora c’è preoccupazione per un rialzo più aggressivo da parte della Federal Reserve.

Fonte: Bloomberg

I risultati

L’inflazione statunitense ha raggiunto un nuovo picco a giugno toccando il 9,1% a/a il dato più alto in 41 anni. Le attese del consensus sono state smentite su ogni stima a partire da quella dell’incremento mese su mese che ha registrato un incremento dell’1,3% rispetto alle previsioni di 1,1% divenendo così il maggiore del 2022.

Anche il dato Core (che esclude le componenti volatili come energia ed alimentari) ha superato le attese, ferme al 5,7%, toccando il 5,9%. Nel mese di maggio l’inflazione Core aveva registrato un dato pari al 6% ma - nonostante sembri evidente un momentum discendente dal picco di marzo al 6,5% - questo rimane una magra consolazione per i mercati azionari che all’uscita del dato hanno virato violentemente in negativo.

Scendendo nel dettaglio, la crescita maggiore si deve alla componente benzina che ha registrato un aumento dell’11,2% rispetto al mese precedente. L’intero paniere dell’energia, invece, ha registrato un aumento del +41,6% a/a, dato che non stupisce visto che i prezzi del greggio hanno toccato proprio a giugno i massimi di $120/barile.

Questo significa che una buona parte delle pressioni inflazionistiche sono da additare ai prezzi delle materie prime e che dunque l’aumento dei tassi di interesse potranno avere solo un effetto limitato sulla crescita dell’inflazione.

Le attese sulle decisioni della FED

A questo punto l’ottica predittiva dei mercati si slancia già verso la prossima riunione di politica monetaria della Banca statunitense prevista per il 26-27 luglio. Se le precedenti previsioni davano ormai per scontato un rialzo di tre quarti di punto percentuale (75 pbs) ora il consensus potrebbe cominciare a prezzare anche un rialzo monstre dell’1% con una probabilità di realizzazione dell’evento che è salita al 32% (rispetto a meno del 10% ieri). Tuttavia, la Fed vuole aspettare un chiaro segnale di frenata delle pressioni inflazionistiche prima di cominciare un rallentamento nel processo di rialzo dei tassi di interesse.

Ciò che è certo è che la Federal Reserve ha più volte dimostrato il suo intento a contrastare ad ogni costo le crescenti pressioni inflazionistiche anche se vi è la concreta possibilità di causare una recessione nel primo trimestre del 2023.

Inoltre, il governatore Jerome Powell sarebbe disposto a rinunciare ad uno dei due obiettivi principali della banca centrale, il pieno impiego, che al momento non aiuta a raffreddare l’economia statunitense. I dati sui Non-Farm payrolls di venerdì scorso hanno aggiunto ben 372mila lavoratori, molto sopra le previsioni di 268 mila, a dimostrazione che il mercato del lavoro è ancora forte con un tasso di disoccupazione del 3,6%.

Dunque, la FED potrebbe adeguarsi a dover sopportare un tasso di disoccupazione sopra al 4% nel 2023 che però potrebbe aiutare a calmierare l’inflazione assieme ad un tasso di interesse che, alla fine dell’anno in corso, dovrebbe raggiungere la forchetta compresa tra il 3,25% e il 3,5%.

Le prospettive

Non sappiamo quando le pressioni inflazionistiche raggiungeranno il picco negli Stati Uniti. Le nostre previsioni sono che potremmo cominciare a vedere un primo rallentamento dell’inflazione verso la fine dell’estate quando gli effetti del rialzo dei tassi di interesse e i dati in allentamento del mercato del lavoro potrebbero contribuire ad un leggero calo dell’indice dei prezzi al consumo.

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