Inflazione Germania scende in linea con le attese al 7,4%. Indice core cresce

I risultati

Questa mattina Destatis ha diffuso i dati sull’indice dei prezzi al consumo in Germania nel mese di marzo. I dati indicano che l’inflazione ha rallentato in linea con le attese al 7,4% su base annuale rispetto all’8,7% a/a registrato nel mese di febbraio.

Anche su base mensile i valori sono conformi alle aspettative con un +0,8%, lo stesso dato del mese precedente.

L’inflazione armonizzata è salita del 7,8% (in linea con le stime del consensus) ma ha mostrato un deciso rallentamento rispetto al 9,3% di febbraio. Su base congiunturale, l’incremento è stato dell’1,1%.

A marzo i prezzi dei beni energetici sono saliti del +3,5% (+19,1% a febbraio e +23,1% a gennaio) segnando quindi un deciso calmieramento. Al contrario i prezzi dei beni alimentari sono cresciuti del 22,3% a marzo rispetto allo stesso mese dell’anno scorso (+21,8% a febbraio e +20,2% a gennaio). Gli incrementi maggiori si sono riverberati su prodotti caseari e uova (+34,6%) e sulle verdure (+27,3%) ma anche sullo zucchero i cui prezzi sono schizzati del +70,9% su base tendenziale.

Infine, l’indice core, che esclude i panieri dei beni alimentari ed energetici, continua a segnalare una lieve crescita rispetto ai mesi precedenti fermandosi a marzo al 5,8% (5,7% a febbraio e 5,6% a gennaio). L’indice che invece esclude sono i beni energetici è risultato pari al 7,8%.

Gli effetti sui mercati

Le Borse europee aprono in verde parzialmente sostenute dal recupero della piazza finanziaria di Tokyo che ha chiuso in rialzo del +0,2%. Tuttavia, non vi è stata nessuna reazione significativa al dato sull’inflazione da parte del Germany 40 che ora si attesta a 15.740 punti.

Anche l’EUR/USD non mostra nessun impatto significativo salvo poi salire fino a 1,10.

Le previsioni

Come in altri paesi d’Europa e non, l’indice dei prezzi al consumo headline sta mostrando una traiettoria discendente, effetto diretto delle politiche monetarie restrittive delle banche centrali. Nonostante ciò, l’indice core, che da molti viene considerato un indicatore più affidabile per misurare le reali pressioni inflazionistiche, continua - seppur marginalmente - a crescere (ieri negli Usa è risultato al 5,6% contro il 5,5% di febbraio).

Questo significa che la crescita dei prezzi non è più solo dettata dai beni energetici ma si è invece espansa anche ad altre categorie di beni (soprattutto quelli alimentari) radicandosi nel sistema economico.

Il compito per i banchieri centrali si fa dunque più arduo in attesa di vedere i pieni effetti degli scorsi rialzi sull’economia reale. Se negli Stati Uniti la Federal Reserve è prossima ad uno stop dei rialzi sui tassi (indicativamente a giugno), invece in Europa crediamo che la BCE debba ancora alzare i suoi tre tassi di interesse di riferimento (depositi, rifinanziamenti e prestiti marginali) così da tentare di frenare la crescita dell’inflazione di fondo che rischia di mettere a repentaglio gli sforzi monetari compiuti fino ad oggi.

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