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Quotazioni Petrolio in ribasso sulla scia dei dati macroeconomici cinesi

L’oro nero scivola dopo la pubblicazione dell’indice manifatturiero Caixin. Ora i riflettori sono puntati sulla riunione OPEC+ di mercoledì.

Fonte: Bloomberg

Dal picco di venerdì a $106/barile il Brent è in ribasso del 2,5% spinto dai risultati sottotono dell’indice manifatturiero cinese relativo a luglio che ha mostrato un deterioramento oltre le attese. L’indice Caixin è infatti risultato pari a 50,4 contro le attese che si aspettavano un dato pari a 51,5 - in lieve calo rispetto al valore di giugno pari a 51,7.

Infatti, durante la sessione asiatica, il Brent mostra chiari segnali di debolezza toccando un minimo di $102 al barile mentre il West Texas Intermediate raggiunge un minimo di $96 dopo un calo di oltre il 4,75% dalle quotazioni di venerdì.

Il gigante cinese non si sveglia

I dati macroeconomici cinesi in chiaro rallentamento sono il risultato non solo dello scenario globale dettato da elevate pressioni inflazionistiche, ritardi nelle forniture, tensioni geopolitiche e rialzo dei tassi di interesse.

Infatti, anche l’aumento dei casi di Covid-19 nel paese ha ulteriormente frenato la ripresa dell’economia a causa della - discutibile - politica di tolleranza zero imposta dalle autorità di Pechino volta a limitare al massimo gli spostamenti.

Inoltre, anche la chiusura del porto di Shanghai - il più grande al mondo per quantità di merci trasportate - ha ulteriormente minato la capacità di ripresa dell’economia cinese che è trainata proprio dall’esportazione di manufatti.

Infatti, tra i mesi di marzo e maggio (dove i lockdown sono stati più intensi) l’indice manifatturiero Caixin ha registrato i valori più bassi toccando un minimo nel mese di aprile a 46 (48,1 a marzo e maggio) registrando dunque una vera e propria contrazione (< 50).

Attese sulla riunione OPEC+

Il mercato del greggio mostra dunque particolare debolezza in vista della riunione dell’OPEC+ (Organizzazione dei Paesi Esportatori di Petrolio e alleati) a Vienna in cui il cartello dovrà decidere sulle quote di produzione per il mese di settembre.

Il mercato si attende un aumento della produzione in linea con le richieste di molti altri paesi (tra cui gli Stati Uniti) per abbassare le quotazioni dell’oro nero, ai massimi da vent’anni e principale fonte di crescita delle pressioni inflazionistiche.

Nonostante ciò, i paesi Medio-Orientali avevano già avvertito di aver raggiunto la massima capacità di produzione nel breve termine e che dunque ulteriori aumenti avrebbero richiesto un minimo di almeno sei mesi date le costrizioni fisiche all’incremento dell’output. Inoltre, il viaggio del presidente USA Joe Biden aveva cercato di minare le relazioni amichevoli tra Arabia Saudita e Russia che - però - sono state ulteriormente cementate.

Tuttavia, la Libia ha invece avvertito di aver incrementato la produzione di petrolio dopo alcune difficoltà alla sua infrastruttura che avevano più che dimezzato l’offerta. La produzione nazionale del paese sembra dunque essere tornata ai livelli toccati lo scorso aprile a 1,2 milioni di barili al giorno.

Le previsioni

Il mercato petrolifero rimane dunque in backwardation (una naturale situazione dove i prezzi dei contratti future sono più bassi di quelli spot) mostrando dunque un segnale di rallentamento della domanda globale di greggio sulla scia dell’attuale rallentamento economico.

A conferma di ciò, vi è anche la differenza di prezzo tra i più vicini contratti del WTI che hanno segnato un valore di $1,80 al barile, in linea con la media dell’anno in corso ma inferiore rispetto a un mese fa.

In conclusione, le nostre previsioni sono che le quotazioni del greggio continueranno a declinare nel breve/medio periodo e potrebbero toccare il supporto dei $90 all’inizio del 2023.

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