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Inflazione Cina in rallentamento al +1,6% a/a

Le pressioni inflazionistiche nel paese sono in discesa a causa della debole domanda domestica dovuta in gran parte ai lockdown.

Fonte: Bloomberg

I risultati

L’indice dei prezzi al consumo in Cina continua a rallentare con il valore del mese di novembre che è risultato ai minimi di otto mesi al +1,6% su base annuale, in linea con le attese del consensus ma in calo rispetto al +2,1% a/a del mese di ottobre. Su base mensile il CPI è risultato negativo per lo 0,2%.

L’indice Core relativo a novembre, che esclude i panieri dei beni energetici e alimentari, è rimasto invariato rispetto al mese precedente al +0,6%.

Il rallentamento dei prezzi al consumo è in parte spiegato dal mercato dei beni alimentari. I prezzi di questo paniere sono in aumento del +3,7% su base annuale (anche se in calo rispetto al +7% a/a del mese di ottobre) trainati dalla carne di maiale che a novembre, sempre su base annuale, è cresciuta del 34,4% ma è in frenata rispetto al +51,8% a/a del mese di ottobre.

I dati suggeriscono quindi un continuo calo dell’attività economica nel paese a causa della debole domanda domestica. In particolare, il paese sta patendo le restrizioni agli spostamenti imposte dal Governo di Pechino (solo recentemente allentate) che dall’inizio della pandemia ha deciso di contrastare il Covid-19 con una politica di “zero tolleranza” che sta però avendo effetti deleteri sull’economia.

Infatti, anche il generale rallentamento della crescita economica a livello globale ha penalizzato le esportazioni del paese contribuendo ad un aumento inaspettato degli stock di beni in magazzino e al relativo calo dei prezzi.

Dal lato della produzione, nel mese di novembre, il PPI (Producer Price Index) ha mostrato un calo dei prezzi alla produzione sintomo di un generale raffreddamento della domanda da parte delle fabbriche. Infatti, su base annuale, il PPI ha indicato un valore del -1,3%, invariato rispetto ad ottobre, e leggermente inferiore alle attese ferme al -1,4%.

Nello specifico la deflazione del PPI è stata avvertita maggiormente nel settore siderurgico dove i prezzi sono calati del 18,7%.

Insomma, in Cina i problemi sembrano capovolti rispetto a quelli dei paesi occidentali. L’inflazione nel paese non è una grossa preoccupazione (lo è invece una possibile deflazione) e rimane ben lontana dal target ottimale del +3% a/a fissato dalla PBoC.

Gli effetti sui mercati

Dopo la pubblicazione del dato, il cambio USD/CNH non mostra alcun movimento significativo e continua a quotare a 6,9499 per dollaro statunitense, livello dello scorso 13 settembre. Infatti, nonostante l’indebolimento del biglietto verde nell’ultimo mese, la coppia valutaria è comunque in rialzo di quasi il 10% da gennaio.

Sui mercati azionari, l’indice Hang Seng di Hong Kong mostra un rialzo di 100 punti al momento della pubblicazione del dato con una chiusura di seduta positiva a 19.900 punti così come l’indice di Shangai SSE Composite che chiude in leggero rialzo a 3.206 punti.

Le previsioni

Per la prima parte del 2023 le pressioni inflazionistiche nel paese continueranno a rimanere a livelli non troppo elevati (tra l’1% e il 2%) a causa della crescita economica fiacca dovuta al debole scenario macroeconomico, agli effetti delle restrizioni legate al Covid e al settore immobiliare in sofferenza.

Una possibile ripresa della crescita dei prezzi sarà possibile solo nella seconda parte dell’anno nel caso in cui avvenga un parziale miglioramento dei fondamentali dell’economia globale, un calo dei casi del virus in Cina e una conseguente ripresa dell’attività economica nel paese.

Tuttavia, crediamo che la PBoC continuerà a mantenere una politica monetaria accomodante con il tasso di interesse per i prestiti ad un anno che potrebbe scendere ulteriormente oltre l’attuale livello del 3,65%, fissato lo scorso agosto, nel tentativo di stimolare una maggiore ripresa dell’attività economica, in particolare nel settore immobiliare.

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