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Inflazione Giappone in aumento al +2,6%

Le pressioni inflazionistiche nel paese del Sol Levante sono ancora irrisorie rispetto a quelle delle sue controparti europee e americane, ma la crescita dei prezzi potrebbe portare a rivedere la politica monetaria della BoJ.

Fonte: Bloomberg

L’inflazione giapponese a luglio ha raggiunto il +2,6% anno su anno segnando così l’undicesimo mese consecutivo di crescita dell’indice dei prezzi al consumo e toccando il livello più alto dall’aprile del 2014. Il valore è in aumento rispetto a quello relativo al mese di giugno pari al +2,4% a/a.

L’inflazione Core (che in Giappone esclude solo il paniere dei cibi freschi) è salita al +2,4% a/a, rispetto al +2,2% a/a del mese scorso, ma è in linea con le previsioni.

Anche la componente denominata Core-Core (che esclude il paniere degli alimentari e dell’energia) è aumentata al +1,2% a/a contro il +1% a/a in giugno. Non ultimo, l’incremento mensile è stato del +0,5% (0% a giugno), il dato maggiore dal gennaio 2021.

I panieri che hanno registrato la crescita maggiore sono stati quelli relativi agli alimentari (+4,4% contro il +3,7% a giugno) e agli energetici (+14,7% contro il +14% di giugno) mentre quelli relativi all’abbigliamento (+1,4% contro il +1,1% a giugno) e alle abitazioni (+0,6%, uguale al dato di giugno) hanno avuto solo incrementi modesti.

La crescita delle pressioni inflazionistiche giapponesi fa sorridere se messa a confronto con gli incrementi vicini alla doppia cifra di Stati Uniti ed Eurozona o a quelli ormai oltre la soglia del +10% a/a di Regno Unito e Spagna.

Tuttavia, il Giappone rappresenta un caso sui generis provenendo da un periodo quasi decennale di crescita nulla e di forti spinte deflazionistiche che hanno portato la sua economia in una stagnazione economica.

Solo negli ultimi anni, grazie all’innovativa politica economica dell’ormai scomparso Shinzō Abe (denominata Abenomics), l’economia nipponica aveva mostrato lievi segnali di miglioramento.

Gli effetti sul JPY

Alla pubblicazione del dato la coppia USD/JPY (大口) sale mostrando un forte deprezzamento della moneta nipponica che passa dal livello di 135,72 fino a 136,36 (+0,48%). Tuttavia, nel corso della mattinata il JPY ha toccato un picco a 136,76 (+0,77%), massimi registrati l’ultima volta il 28 luglio. Infatti, il JPY ha ormai raggiunto contro la divisa statunitense un deprezzamento che non si vedeva dal 1998.

Anche con la moneta unica il JPY segna una decisa svalutazione. Il cambio EUR/JPY aumenta dello 0,36% passando dai 136,94 fino al livello di 137,43. Come per il dollaro americano, durante la mattinata il JPY perde ulteriore terreno e raggiunge i 137,96 per poi ritracciare bruscamente fino agli attuali 137,56. La forte svalutazione del JPY ha toccato una soglia registrata l’ultima volta solo nel 2015.

Le previsioni

Gli investitori sono nervosi a causa delle pressioni inflazionistiche in crescita ben sopra il target del 2% a/a e ora pensano che la Bank of Japan debba interrompere subito la sua politica monetaria ultra-espansiva.

Tuttavia, il governatore della BoJ, Haruhiko Kuroda, non sembra intenzionato a fermare i piani della banca centrale nel breve termine giustificando la sua condotta con una crescita - nell’ultimo anno - dell’economia giapponese dopo un decennio di stagnazione economica.

Non ultimo, l’attuale politica monetaria sta svalutando molto il JPY e dunque sta favorendo le esportazioni di beni giapponesi sui mercati internazionali con un generale effetto positivo sulle più importanti imprese nipponiche, fortemente sbilanciate verso l’estero.

Crediamo inoltre che la politica monetaria ultra-espansiva possa beneficiare il Giappone nel breve termine considerando che i livelli di inflazione non sono così elevati se presi nella sola componente Core-Core (+1,2% a/a) e che un lieve aumento delle pressioni inflazionistiche viene comunque considerato un segnale positivo per l’economia.

In conclusione, pensiamo che la BoJ stia tenendo sotto osservazione questo parametro e potrebbe dunque invertire la rotta sui tassi di interesse (attualmente al -0,1%) verso la fine del 2022 o per l’inizio del 2023 ma solo se la componente depurata da alimentari ed energia dovesse aumentare a livelli considerati deleteri.

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