Accordo commerciale Cina-Usa: cosa prevede e a chi conviene?
Pechino ha accettato la proposta avanzata venerdì mattina da Trump: dazi rimandati o dimezzati, in attesa della firma ufficiale
L’accordo commerciale tra Cina e Stati Uniti c’è: resta solo da firmarlo. Alcune fonti hanno parlato di gennaio, ma sulla data precisa regna ancora l’incertezza. In realtà, resta anche da ufficializzarlo: venerdì sera Pechino ha accettato le proposte avanzate in mattinata dal presidente Usa Donald Trump, ma si tratta di accordi di principio. In ogni caso, sono stati raggiunti appena in tempo per evitare che, domenica alle 12:00, scattassero dazi del 15% su prodotti in arrivo dalla Cina corrispondenti a 156 miliardi di dollari. Sono inoltre stati dimezzato i dazi precedentemente imposti (dal valore di 120 miliardi di dollari), che passano dal 15% al 7,5%.
Cosa prevede l’accordo?
Si tratta tuttavia solo della cosiddetta “Fase 1” dei negoziati, ovvero riguardo a tariffe aggiuntive in tre settori principali: esportazioni agricole, apertura dei servizi finanziari cinesi agli investimenti esteri e regolamentazione della proprietà intellettuale - dopo la questione del trasferimento di know-how estero alle aziende cinesi come presupposto per l’entrata nel mercato cinese.
Pechino ha inoltre dovuto garantire l’acquisto di almeno 40 miliardi di dollari in beni agricoli – un impegno non da poco, che potrebbe provocare distorsioni di mercato considerando che, per il rifornimento di soia e altri prodotti agricoli, la Cina nel frattempo ha già stretto accordi commerciali soprattutto con l’America Latina.
I dazi in partenza domenica invece avrebbero dovuto ricadere su prodotti tech (soprattutto telefoni cellulari e laptop), giocattoli, abbigliamento, articoli natalizi e, in sostanza, una serie di categorie in grado di pesare notevolmente sull’acquisto di prodotti cinesi durante il periodo delle feste.
A chi conviene?
Fino alla fine, Trump ha sostenuto che ad avere più bisogno di un accordo fosse la Cina, piuttosto che gli Usa. A guardare i dati macro, si poteva anche pensare che fosse vero: gli ultimi dati sulla fiducia dei consumatori indicano una ripresa a dicembre rispetto ai mesi precedenti, mantenendo alto il livello di ottimismo e di fiducia nell’economia statunitense.
D’altra parte, i lobbisti statunitensi del settore si sono attivati da tempo contro le tariffe, sostenendo che siano particolarmente dannose per l’economia. Secondo il Ceo di JP Morgan, Jamie Dimon, “è quello che succede alla psiche della gente, alla fiducia e agli affari”.
Un’indagine di Forbes ha sottolineato che, dall’inizio della guerra commerciale a oggi, tra i mancati introiti dovuti ai dazi sull’import e sull’export gli Usa hanno perso un totale di 84 miliardi di dollari, di cui 30 in esportazioni e 54 in importazioni. Nello specifico, le importazioni di computer e smartphone (a proposito: negli accordi di venerdì, la questione Huawei non è stata toccata) sono scese per una perdita di 5,72 miliardi di dollari, mancate esportazioni di petrolio per 4,87 miliardi, export di auto e componentistica del settore automotive in calo per 2,46 miliardi.
Secondo Forbes, è tuttavia indicativo che, in percentuale, le perdite sull’export ammontino a poco più della metà di quelle dell’import: il punto debole degli Usa risulta essere il fatto che il volume di importazioni dalla Cina sia comunque di gran lunga superiore a quello dell’export. Trump vuole lavorare invece proprio sull’export, soprattutto per quanto riguarda i prodotti agricoli. Ma, per come stanno le cose attualmente, andare a colpire l’import ha comportato per lo più una notevole perdita di introiti.
Dall’altro lato, proprio stamattina i dati sulla produzione industriale cinese danno un’immagine in ripresa: rispetto all’anno scorso, la produzione industriale di novembre è cresciuta del 6,2%, in aumento rispetto alle attese del 5% e rispetto ai dato di ottobre (4,7%).
Come hanno reagito le Borse?
Gli indici globali hanno reagito in maniera altalenante. Negli Usa, le Borse hanno aperto per lo più in positivo, con il Dow Jones a +0,44%, il Nasdaq a +0,75% e l’S&P 500 a +0,77. Diversa la situazione in Asia, dove hanno chiuso in positivo la Borsa di Shanghai (+0,56%) e lo SZSE Component (+1,54%), mentre invece China A50 scende a -0,25 e, in Giappone, il Nikkeisegna -0,29% e il Topix -0,18%.
Molto positivi invece gli indici europei, che ancora viaggiano sulla scia della schiacciante vittoria del premier britannico Boris Johnson di giovedì scorso: Londra si assesta a quota +2,45%, Parigi +1,18%, Francoforte +0,80% e Milano +0,77%.
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