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Anticipazioni Bce: cosa aspettarsi dal meeting di giugno. Countdown per Draghi

Inflazione Eurozona a picco, tensioni commerciali in crescendo e banche centrali favorevoli ad una politica accomodante: cosa emergerà domani dalla riunione della Banca centrale europea? Cosa aspettarsi da Mario Draghi?

Mario Draghi - Bce Fonte: Bloomberg

Inflazione europea a picco e tensioni commerciali in crescendo, non esattamente la migliore delle situazioni possibili per il governatore della Banca centrale europea, Mario Draghi, a poco meno di cinque mesi dalla fine del suo mandato.

Inflazione in calo, lontani dal target Bce

A maggio, l’inflazione dell’Eurozona ha registrato una contrazione dello 0,5% rispetto al mese precedente, attestandosi all’1,2%, sotto le attese dell’1,3%. Male anche l’inflazione ripulita dall’effetto dei prezzi energetici ed alimentari, scesa dall’1,4% all’1%.

Dopo gli importanti annunci fatti da Draghi nel meeting di inizio marzo e la conferma di un sostegno centrale all’economia ribadita nella riunione di aprile, l’attenzione di mercato si concentra ora su due aspetti chiave: in che modo sarà articolata la nuova tranche di prestiti mirati e a basso costo al sistema bancario (Tltro) in partenza il prossimo settembre, e come la Bce intende procedere in merito al dato rilasciato ieri, che ha mostrato un livello dei prezzi ancora debole.

Tltro: quanto saranno generosi i termini?

Dati alla mano, il blocco degli Stati europei necessita ancora di ampio sostegno: le crescenti tensioni commerciali e i timori di una nuova, imminente fase di recessione, confermano l’approccio accomodante dell’istituto centrale europeo, che ben si allinea all’atteggiamento delle principali banche mondiali. La maggior parte dei commentatori si aspetta che domani Draghi confermerà condizioni “generose” sui prestiti a lungo termine al settore bancario, finalizzati a riattivare investimenti, produzione e consumi. Tra le opzioni vagliate dal mercato, l’eventualità che la Bce applichi tassi d’interesse negativi (quale è il -0,4%), che permetterebbe alle realtà del credito di ottenere non solo nuove disponibilità, ma anche un profitto immediato dovuto al costo del denaro favorevole.

Draghi: il riferimento ai tassi di interesse

Il meeting di domani, giovedì 6 giugno, potrebbe imporre nuovi paletti al successore di Mario Draghi, che, in carica dal prossimo 1° novembre, dovrà attenersi alle indicazioni preliminari fornite dal governatore. La Bce ha infatti già preventivato tassi di interesse fermi fino almeno alla fine del 2019 e in ogni caso non prima che l’inflazione abbia raggiunto livelli prossimi o poco inferiori al target del 2%, ora decisamente distante. Un possibile aggiustamento potrebbe andare ad impattare proprio su quel termine, che non è escluso venga allungato “fino almeno” al primo trimestre 2020. Draghi potrebbe infine togliere del tutto il riferimento temporale, lasciando come unica clausola per l’aumento dei tassi il solo raggiungimento dell’obiettivo di inflazione.

No-stop politica accomodante e taglio dei tassi

Diversamente dalla Federal Reserve statunitense e dalla britannica Bank of Englan, la Bce non ha mai avviato un piano di politica monetaria restrittiva, mantenendo inalterato il tasso di rifinanziamento (0,00%) e fissando il tasso chiave di deposito ad un minimo storico del -0,4%. Il tutto, con il dissenso della Germania, che mira ora a posizionare il proprio rappresentante, Jens Weidmann, a capo dell’istituto europeo: sarebbe la prima volta per un tedesco. Nei meeting precedenti, Draghi ha promesso di rivedere l'impatto di un tasso negativo (quindi un costo) sulla redditività bancaria che rischia di essere eccessivamente dannosa per la profittabilità degli istituti di credito. Non va comunque esclusa l’eventualità di un nuovo taglio del costo del denaro, che finirebbe però per scatenare l’ira e le polemiche degli Stati più virtuosi.

Oltre al tedesco Weidmann, tra i pretendenti al ruolo di governatore compaiono i nomi di Benoit Coeure, Francois Villeroy de Galhau, Olli Rehn ed Erkki Liikanen.

QE: passato, presente e futuro

Dal 2015 alla fine del 2018, la Banca centrale europea ha acquistato poco meno di 2.600 miliardi di euro di debiti sovrani, tra obbligazioni garantite, obbligazioni societarie e titoli garantiti da ipoteca. Dopo aver più volte ribadito di essere disponibile ad utilizzare ogni mezzo necessario per sostenere l’economia dell’Eurozona, tra le alternative da considerare c’è la riapertura di un piano di Quantitative Easing (QE), che andrebbe però a violare i limiti autoimposti dalla banca centrale stessa sui livelli di debito acquistabile (per un massimo del 33%), che renderebbe la Bce creditore dominante dei governi europei.

La Bce potrebbe avere un leggero margine di movimento per modificare le regole sul reinvestimento dei proventi derivanti dalle partecipazioni in titoli acquistati nel piano di QE. Le disposizioni attualmente in vigore prevedono che il reinvestimento delle poste avvenga esclusivamente all’interno del Paese in cui il debito è maturato, una limitazione che, anche se modificata, non andrebbe ad impattare in maniera significativa lo status quo.

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