Italia: incubo recessione e dubbi sulla crescita
Dopo la Banca d'Italia, anche il Fondo monetario internazionale (FMI) ha tagliato le stime di crescita per l'anno in corso, portandole a +0,6%, in calo rispetto al +1% stimato in autunno. Invariate le stime al 2020 (+0,9%).
Altra sforbiciata alle previsioni del Pil italiano per il 2019, a distanza di pochi giorni da quella arrivata dalla Banca d’Italia. Questa volta è stato l'Fmi, guidato da Christine Lagarde, a tagliare le stime di crescita, citando soprattutto fattori di carattere interno.
Quando manca poco più di una settimana alla pubblicazione del dato sul Pil del 4° trimestre dell’anno (31 gennaio) che potrebbe portare alla prima recessione tecnica (ovvero due trimestri consecutivi di crescita congiunturale negativa) degli ultimi sei anni, il livello di allarme sul nostro Paese resta altissimo.
Cause della recessione
A penalizzare la crescita del Bel Paese nella seconda metà del 2018 sono stati, a nostro avviso, una concomitanza di fattori sia esogeni che endogeni:
da un lato, il repentino deterioramento della crescita globale dovuta alle tensioni commerciali tra Stati Uniti e Cina hanno intaccato il saldo della bilancia commerciale, un fattore questo che negli ultimi anni ha fatto da traino alla crescita italiana. A conferma di ciò vi è il rallentamento delle altre economie europee (Germania su tutte) e globali, come la Cina (quest’ultima ha chiuso il 2018 con la crescita più bassa da 28 anni);
dall’altro, l’instabilità politica, generata prima dalla formazione del governo e poi dalla manovra finanziaria, ha messo in dubbio la stabilità del paese, portando a un notevole ampliamento dello spread, oltre che a un rallentamento degli investimenti e dei consumi.
Così il rischio di una recessione tecnica è diventato molto concreto negli ultimi mesi. C’era da aspettarselo che in un contesto di rallentamento globale il nostro Paese potesse “soffrire” di più rispetto alle altre economie europee. Questo sembrerebbe essere dovuto alla mancanza di riforme strutturali in grado di rendere l’economia meno vulnerabile in un contesto di crescita globale debole.
Politica e banche penalizzano le prospettive
Se il quadro consuntivo porta brutte notizie, non possiamo certamente affermare che l'outlook sia migliore. Il 2019 potrebbe essere un anno ancora molto difficile per l’economia tricolore. Oltre ai già citati problemi di carattere internazionale (Brexit, guerra commerciale Usa-Cina, rallentamento economie Emergenti), l’incertezza politica continua a farsi sentire. A conferma di ciò, lo spread BTp-Bund permane su livelli decisamente più elevati rispetto a quelli visti prima del voto (250 punti base contro i 120 di un anno fa). I rischi legati alla manovra finanziaria rimangono considerevoli, soprattutto in un contesto di bassa crescita. Inoltre, il mercato continua a guardare con sospetto la possibilità di un ritorno alle urne già quest’anno. All’interno del governo giallo-verde non mancano certo i punti di scontro (su tutti il tema delle infrastrutture). A tal proposito un passaggio chiave potrebbero essere le elezioni europee di fine maggio, dove i partiti euroscettici potrebbero guadagnare consensi.
Per quanto riguarda le banche, non vi è solo l’incubo spread. Gli istituti italiani continuano ad essere alle prese con il nodo NPL. Le pressioni della Bce per una maggiore copertura dei crediti deteriorati potrebbero impattare sui requisiti patrimoniali e quindi aprire a una nuova ondata di ricapitalizzazioni. Senza considerare che tutto ciò potrebbe condurre anche a una stretta sul credito, soprattutto dopo la chiusura dei rubinetti della Bce di dicembre scorso. Le difficoltà del comparto bancario contribuiranno a questo rallentamento dell’economia dato che il nostro sistema economico è tipicamente banco-centrico.
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