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Theresa May: poche alternative sulla Brexit e l'arma potente del no-deal

Goldman Sachs stima una probabilità del 50% di ratifica dell'accordo May; JP Morgan prevede una dilazione del termine del 29 marzo. Bruxelles rifiuta il dialogo: resta lo scoglio backstop d'Irlanda. In Parlamento il 26/27 febbraio

Fonte: Bloomberg

Nuova sconfitta alla Camera dei Comuni per Theresa May, che, con un voto non vincolante, chiedeva al Parlamento di confermare il proprio appoggio a seguire una strategia volta a migliorare alcune questioni delicate contenute nell’accordo con l'Europa. Al centro dell’analisi, ancora una volta, la questione backstop, la precaria soluzione atta ad evitare la chiusura del confine tra Irlanda del Nord e Repubblica irlandese.

Theresa May: nuova sconfitta alla Camera dei Comuni

May ha promesso di rilasciare una dichiarazione in parlamento circa i progressi fatti il 26 febbraio; aprirà quindi la discussione tra i legislatori il 27 febbraio. Ciò non comporterà necessariamente un voto d’approvazione o di rifiuto dell’accordo, ma sarà l’occasione per proporre soluzioni alternative e testare. Il mercato vede in questo il tentativo di spostare il controllo delle discussioni dalle mani di May.

Per la Premier inglese, decisa a proseguire a pugno duro lungo la via che porterà il Regno Unito fuori dall’Unione, la strada verso Bruxelles si fa più ripida.

Cosa (non) vuole Theresa May

Theresa May sembra essere molto sicura di quel che non vuole: non vuole accettare un compromesso circa la permanenza inglese all’interno dell’unione doganale europea; non vuole andare contro il voto inglese con un nuovo referendum o con l’opzione no Brexit; non vuole rimuovere dal piatto lo scenario più temuto, quello del no deal, che attualmente si configura come l’arma più potente per disincentivare a votare contro l’accordo a firma May. A tutti gli effetti, alla premier non sembra nemmeno piacere l’idea di un rinvio del termine oltre il 29 marzo.

Con l’Ue che si rifiuta di rivalutare i termini dell’accordo raggiunto a fine 2018 e le parti inglesi sempre ferme sulle proprie posizioni, alcune delle principali banche d’affari americane hanno formulato stime sui possibili futuri scenari.

Previsioni Brexit secondo Goldman Sachs

Tra le altre, Goldman Sachs stima con una probabilità del 50% che Theresa May sarà in grado di ratificare il proprio accordo di uscita dall'Unione europea. Pur di evitare il no-deal, i parlamentari dovrebbero quindi cedere al voto. Nel caso ciò non si verificasse, May dovrebbe decidere se prolungare i termini dello scatto dell’articolo 50 o se condurre il Paese verso lo scenario drammatico di una uscita senza accordo.

"C'è una maggioranza di parlamentari alla Camera dei Comuni pronti ad evitare un'uscita senza un accordo, ma non ancora una maggioranza a favore di un secondo referendum. Il primo ministro cercherà di posticipare il più possibile il voto finale sull’accordo della Brexit” hanno proseguito dalla banca, precisando come “l'intensificazione del rischio residuo incoraggerà ulteriormente la possibile ratifica del testo”.

Secondo l’istituto americano, ad oggi lo scenario no-deal è dato al 15% di probabilità; superiore e pari al 35% si profila invece l’opzione di no-Brexit.

Previsioni Brexit secondo JP Morgan

Si discosta leggermente l’analisi di JP Morgan, secondo cui Theresa May starebbe cercando una proroga della scadenza per l'uscita dall'Unione Europea, prevista per il 29 marzo. "Prevediamo che la maggioranza dei parlamentari britannici si preparerà a garantire che si eviti l'uscita senza accordo. Crediamo che il Primo Ministro cercherà di prevenire questo scenario chiedendo una proroga del tempo”.

La scorsa settimana, il giornale The Sun ha fatto trapelare l’intenzione di Theresa May a le proprie dimissioni entro la prossima estate, e che starebbe già cercando un sostituto.

Alcune grandi banche, consce del fatto che l’uscita senza accordo sia una possibilità non remota, hanno iniziato a correre ai ripari, profilando soluzioni d’emergenza nel caso ciò avvenisse.

Brexit: quali effetti per il settore bancario?

La Commissione europea in primis aveva pubblicato lo scorso dicembre alcune misure d’emergenza nell’eventualità di un no-deal. Alle attuali condizioni, banche ed assicurazioni con base a Londra perderanno il proprio “passaporto” per operare all’interno dell’Unione. Per scongiurare il blocco delle attività l’esecutivo comunitario ha proposto una decisione di equivalenza temporanea e condizionale per un periodo di tempo di 12 mesi, volto a garantire che non vi siano interruzioni immediate nella compensazione dei derivati; 24 mesi è stato invece il tempo proposto per assicurare che non siano interrotti i servizi dei depositari centrali per gli operatori Ue.

Dal canto loro, le banche statunitensi vorrebbero che la Gran Bretagna mantenga post Brexit legami stretti con l’Unione; da contro, gli istituti britannici preferirebbero non sentirsi legati in alcun modo alle nuove leggi pensate da Bruxelles.

Cosa accadrà è ancora tutto da stabilire.

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