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Trump alza i dazi: torna la paura guerra commerciale. Shanghai cede il 5,5%, petrolio in calo

Petrolio in picchiata, borse in profondo rosso. Donald Trump rompe la tregua con la Cina e dispone il rialzo delle tariffe dal 10 al 25% da venerdì prossimo, su $200 miliardi di merci cinesi. Su Twitter: troppe rinegoziazioni.

Trump Cina Fonte. Bloomberg

Donald Trump torna allo schema originale e dispone il rialzo dei dazi sull’import cinese a partire da venerdì prossimo. Sale così a 250 miliardi di dollari il controvalore di merci vessate dalle tariffe a stelle e strisce, con conseguenze immediate sui mercati finanziari.

Prezzo del petrolio in calo. EurUsd sotto 1,12

I listini europei hanno aperto la giornata di lunedì tutti in territorio negativo, con ribassi tra l'1,5 e il 2%. Il petrolio ha perso terreno, col Wti tornato in area $60,50 ed in Brent sceso al di sotto dei 70 dollari al barile. Apprezzamento per il biglietto verde, che ha confermato la debolezza del cambio euro/dollaro al di sotto del supporto a 1,12; lo yuan è sceso contro dollaro di quasi un punto percentuale, arrivando a cedere oltre l’1,2% sullo yen giapponese (con la borsa di Tokyo chiusa fino a domani, dopo la Golden week).

Profonbdo rosso anche per l’equity cinese: Shanghai ha chiuso la prima seduta di contrattazioni settimanali in calo del 5,5%, seguita dal -3% di Hong Kong e Singapore; le blue-chip cinesi hanno perso oltre il 6%, nonostante la mossa della banca centrale PBoC di tagliare i requisiti di riserva per le banche di piccole dimensioni contribuendo così a rilanciare i prestiti alle piccole e alle imprese private.

Secondo anticipazioni della stampa locale, la Cina starebbe valutando di cancellare del tutto i colloqui in corso.

Donald Trump: dazi dal 10 al 25%

La decisione del Presidente americano di portare i dazi dal 10 al 25% arriva a poche ore dall’11° round di negoziati tra Stati Uniti e Cina che, dopo i “progressi” della scorsa settimana, avrebbe dovuto porre basi quasi definitive al deal tra le due maggiori potenze mondiali. Washignton e Pechino avevano fissato una tregua nel corso del G20 d’Argentina, concedendosi 90 giorni di tempo per discutere di come regolare e bilanciare i propri rapporti commerciali.

A far perdere la pazienza all’amministrazione Trump sarebbe stata la continua richiesta da parte della Cina di rinegoziare i termini del piano. Mentre il Dragone si era infatti offerto fin dal principio di incrementare il proprio export dagli Stati Uniti, così da appianare il deficit commerciale tra i due paesi (specie per il settore energetico ed agricolo), le parti non sarebbero riuscite a trovare un punto d’incontro sul fronte tecnologico, vero centro di discussione. Per Washington, la Cina non ha intenzione di impegnarsi a sufficienza per tener fede alle richieste della potenza occidentale, relative a furto di proprietà intellettuale, cybersecurity e spionaggio aziendale, trasferimento forzoso di tecnologia.

Trump su Twitter, tra Cina e tecnologia

“Per 10 mesi, la Cina ha pagato tariffe del 25% agli Stati Uniti su 50 miliardi dollari di prodotti High Tech e del 10% su 200 miliardi dollari di altri beni. Tali pagamenti sono parzialmente responsabili dei nostri grandi risultati economici” ha commentato su Twitter il Presidente americano. “Venerdì quel 10% arriverà al 25%. Altri 325 miliardi di dollari di merci diverse importate dalla Cina verranno tassate, ma solo sul breve termine, ad un tasso del 25%” ha quindi proseguito Trump, confermando l’appellativo da lui stesso utilizzato “tariffman”.

“Le tariffe pagate agli Stati Uniti hanno avuto scarso impatto sui conti dei prodotti, andati per lo più a carico della Cina. La ricerca di un accordo commerciale con la Cina prosegue” ha concluso Trump, “ma troppo lentamente, mentre continuano a chiedere rinegoziare. No!”.

Guerra commerciale: torna la paura sui mercati

Tra le conseguenze certe, se Trump confermasse la propria decisione, riportando in auge il timore di protezionismo, guerra commerciale e chiusura, su tutti mercati si potrebbe assistere a forti pressioni ribassiste. Una situazione, questa, che non giocherebbe a favore del Presidente che più volte ha evidenziato la positiva performance dei corsi azionari, imputandosi il merito di avere contribuito a tali rialzi con stimoli sul fronte fiscale ed industriale.

Dal canto opposto, un ritorno dei rischi commerciali e geopolitici potrebbero spingere le banche centrali ad adottare in maniera più decisa politiche stimolanti, a partire da quelle asiatiche, che già questa setrtimana si incontreranno per decidere se e di quanto ridurre i loro tassi ufficiali.

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