Dazi Usa su settore automotive: una minaccia svanita?
L’industria europea (ma anche giapponese) si aspettava un rincaro del 25%, che però non c’è stato. Probabilmente Trump cercherà alternative – o forse no: con il Giappone già esiste una bozza di accordo
Il settore automobilistico continua a guardare con il fiato sospeso verso l’altra sponda dell’Atlantico. Il 14 novembre sarebbero dovuti entrare vigore i dazi su automobili e relative componenti prodotte da case automobilistiche europee e giapponesi; invece il termine è arrivato e passato, senza che accadesse nulla.
Trump ci sta ripensando?
Le tariffe (una maggirazione del 25%), erano state annunciate lo scorso maggio e applicate in base alla sezione 232 della legge sull’espansione del commercio del 1962. Si tratta di una norma risalente al periodo della Guerra Fredda (e che in effetti risponde alla logica del suddetto periodo), in base alla quale il presidente degli Stati Uniti è autorizzato a imporre tariffe su prodotti di importazione straniera che potrebbero danneggiare la sicurezza nazionale.
Al tempo, Trump aveva chiesto una finestra di tempo di sei mesi per negoziare nuovi accordi. Peccato che giovedì scorso il termine per porre in atto tale provvedimento sia scaduto, dopo 180 giorni. Alcuni legali sostengono che ora il presidente Usa troverà comunque un modo alternativo per giustificare nuovi dazi.
A dichiarare la decadenza dell’autorità di Trump è stata la Corte Usa per il Commercio Internazionale, che proprio lunedì si è espressa su un caso analogo, in riferimento però a una disputa con la Turchia. Anche in quel caso infatti Trump aveva invocato la sezione 232, disponendo di raddoppiare le tariffe sull’importazione dell’acciaio facendole arrivare al 50%: ma, decaduto il termine, è decaduta anche l’autorità per imporre l’aumento. Non vi sono motivi dunque, secondo un panel di esperti legali Usa, per cui lo stesso principio non possa applicarsi anche alle tariffe sul settore automobilistico.
I dazi all’Europa come quelli alla Cina?
L’aumento delle tariffe era stato reso noto con un comunicato della Casa Bianca risalente a maggio. La nota sottolineava da una parte l’importanza strategica del settore automobilistico ai fini della sicurezza nazionale; dall’altro, il fatto che il volume della produzione negli ultimi quarant’anni sia sceso di pari passo all’aumentare delle importazioni. Per questo Trump aveva deciso di agire proprio secondo sezione 232 della legge sull’espansione del commercio.
Non proprio la stessa storia della Cina, con cui dal luglio 2018 si combatte una vera e propria guerra commerciale a colpi di sanzioni. Nel caso dei rapporti tra le due superpotenze, la continua violazione negli anni delle regole dell’Organizzazione Mondiale del Commercio, di cui Pechino fa parte dal 2001, ha provocato tensioni sempre meno latenti. L’ascesa alla presidenza Usa di Donald Trump e il suo isolazionismo economico sono state le scintille che hanno fatto deflagrare il conflitto.
E il Giappone?
A differenza dell’Europa, con cui le trattative sono ancora in alto mare, i negoziati con il Giappone sono arrivati a una conclusione verso settembre, sebbene il settore auto sembri non essere stato toccato.
Giovedì la Camera bassa della Dietra giapponese ha approvato un accordo commerciale che disciplina nuove norme per l’armonizzazione delle regole commerciali digitali e riduce le barriere per l’export dei prodotti agricoli giapponesi. Ora si attende l’approvazione della Camera altra, che dovrebbe arrivare entro il 9 dicembre.
L’accordo non tratta però dell’industria automobilistica. Proprio ciò è stato oggetto di un’aspra critica delle opposizioni, che hanno lamentato come non sia stato fatto alcun passo per eliminare la tariffa del 2,5% che i produttori giapponesi già pagano per esportare i propri prodotti negli Stati Uniti.
Perché la California non vuole più comprare auto estere?
Intanto, la California ha fatto sapere di non voler più acquistare per i servizi pubblici vetture di produzione Fca, General Motors , Toyota e altri gruppi automobilistici che appoggiano la linea dell’amministrazione Trump sulle emissioni di gas di scarico. Il presidente Usa è infatti fautore di una minore autonomia dei singoli stati sulla regolamentazione dei valori di tali emissioni. Da gennaio dunque la California acquisterà unicamente da fornitori che rispettano gli standard stabiliti da Sacramento – ben più rigidi di quelli accettati dall’amministrazione Trump.
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