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Fed: tassi fermi, cala il dollaro. Politica monetaria: approccio wait-and-see. Powell invoca la "pazienza"

Euro/Dollaro nuovamente a quota 1,15. Si apprezzano Aussi, Kiwi e dollaro canadese contro il biglietto verde. Federal Reserve: principali rischi Brexit, shutdown e guerra commerciale (e Cina). Tassi di interesse fermi.

Fonte: Bloomberg

La Fed imbocca la via della “pazienza”. E il dollaro scivola a ribasso. Dopo un 2018 caratterizzato dal rialzo dei tassi d’interesse e da una politica più stringente in scia alla positività dei dati macro americani, il 2019 si apre sotto un’altra luce.

Nel meeting di ieri sera la Federal Reserve ha inviato, come da attese, un chiaro segnale circa la propria politica monetaria: le pressioni sull’economia e sulla crescita mondiale impongono ora un cambio di passo. Tra i principali rischi in corso, ha osservato il governatore dell’istituto centrale, Jerome Powell, si annoverano l’incertezza causata dalla Brexit, i possibili effetti della disputa commerciale (e il peso della Cina a livello di scambi internazionali) e le vicende legate allo shutdown, che hanno paralizzato l’amministrazione americana per oltre un mese.

Decidendo di mantenere i tassi di interesse invariati nel range di 2,25-2,50 per cento (dopo il quadruplice rialzo dello scorso anno), la banca centrale Usa ha tolto la dicitura “ulteriori graduali aumenti”, superando anche le aspettative di chi vedeva una Fed più accomodante. A tutti gli effetti, sembra che l’istituto centrale non voglia rischiare d’esser la causa del freno alla dinamica economica statunitense.

Effetto Fed sul dollaro

Meno rigidità monetaria, un costo del denaro stabile ed una consistenza di bilancio per ora inalterata hanno portato il dollaro a deprezzarsi, sulle attese di una conferma di liqudità; per contro, a beneficiarne sono state materie prime e commodity currencies, con Aussie, Kiwi e dollaro canadese che possono ora provare a cogliere tali ultimi spunti per muoversi a rialzo: contro il biglietto verde, il dollaro australiano è tornato ai massimi da inizio dicembre, guadagnando l’1,7% rispetto ai livelli di apertura di mercoledì. Stessa cosa per il dollaro neozelandese, cresciuto in poco più di 24 ore dell’1,2% contro la divisa americana; la divisa canadese è tornata a quotare su livelli che mancavano dal novembre 2018.

A latere la performance del gold: in un periodo già positivo per l'oro, bene rifugio in periodi di incertezza e favorito dai riposizionamenti d'inizio anno, il prezioso è tornato a quotare in area $1320, su livelli che non si vedevanbo dalla prima metà di maggio 2018.

Dopo un anno di sovraperformance del biglietto verde (cresciuto del 10%, grazie alla spinta data dall’effetto tassi a rialzo e dalla robustezza dell’economia americana), l'indice del dollaro, contro il paniere delle sei principali valute mondiali, è calato a ridosso di un minimo da 3 settimane, dopo aver registrato nella notte un movimento a ribasso dello 0,43%.

Ad apprezzarsi contro il greenback è stato anche l’euro, col cambio Eur/Usd tornato a quota 1,15. La moneta unica, a sua volta, è attualmente spinta da forze per lo più ribassiste, legate ad un contesto economico in fase di rallentamento (con la cartina tornasole della Germania) ed una Banca centrale europea che si è detta ancora accomodante per gran parte del 2019, cosa che tenderà a limitare il rialzo dell’euro nel medio periodo.

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