G20: coronavirus stravolge agenda dell’incontro, in discussione anche inflazione e digital tax
L’incontro tra i ministri delle finanze delle 20 maggiori economie globali insieme ai governatori delle principali banche centrali, ha posto in luce le sfide dei prossimi mesi. Il Fmi: Prepariamoci al peggio
Si è conclusa ieri la riunione del G20 a Riad, dove i ministri delle finanze delle principali economie globali e i governatori delle banche centrali si sono riuniti nel fine settimana per discutere delle principali questioni economiche e commerciali a livello globale.
Quali sono stati i temi in discussione al G20?
Il coronavirus
Gli stakeholder del G20, allargato anche ai membri dell’Osce, si sono concentrati sull’espandersi del coronavirus, nel tentativo di stabilirne le ripercussioni economiche a livello globale. Il Fondo Monetario Internazionale ha rivisto le previsioni di crescita della Cina (dove si è sviluppato il focolaio che, ad oggi, ha provocato oltre 2.500 decessi) dello 0,4%, passandola al 5,6%, il che si traduce in una contrazione di quella globale dello 0,1%.
“Nel corso degli incontri del G20 e del G7 di Riad si è convenuto come sia ancora prematuro quantificare l'intensità e l'impatto del coronavirus sull'economia globale ed europea”, ha dichiarato a margine della riunione il ministro dell’Economia italiano Roberto Gualtieri.
L’epidemia di Covid-19 ha stravolto l’agenda del meeting, soprattutto a causa del rischio che pone alla crescita globale. Essendo ancora difficile determinare la velocità della ripresa, la presidente del Fmi, Kristalina Georgieva, ha annunciato che le economie globali farebbero meglio a “prepararsi allo scenario peggiore possibile”.
Nel frattempo si valutano misure di supporto come quelle varate dalla banca centrale cinese nei giorni scorsi. La PBoC ha infatti predisposto iniezioni di liquidità e tagli ai tassi di interesse sui presti di breve e medio termine, nel tentativo di contenere gli effetti dello stop alla produzione e riattivare l’economia. A Riad la Cina è intervenuta tramite il proprio ambasciatore, essendo la delegazione originale rimasta a Pechino per far fronte alla crisi.
Il presidente Xi Jinping ha ammesso che “lo scoppio del coronavirus avrà inevitabilmente un impatto relativamente grande sull’economia cinese”, specificando tuttavia che gli effetti da scontare si sentiranno “nel breve termine” e saranno facilmente gestibili.
La digital tax
Di fianco all’emergenza Covid-19, tra gli altri argomenti a tenere impegnati i leader finanziari è stata la questione della tassazione e della trasparenza nei commerci. Il ministro delle Finanze saudita, Mohammed Al-Jadaan, ha ricordato gli oltre 1.600 accordi firmati al riguardo, che provvedono allo scambio di informazioni per le autorità finanziarie.
La sfida è quella di raggiungere un sistema di tassazione trasparente nell’epoca della digitalizzazione. La questione scaturisce soprattutto all’indomani delle proposte di una digital tax che, nelle ultime settimane, ha incrinato soprattutto i rapporti tra Stati Uniti e i paesi europei (Regno Unito prima di tutti, ma anche Francia e, in misura minore, Italia).
Durante gli ultimi due giorni, i ministri delle Finanze dei paesi dell’Osce hanno ribadito la necessità di lavorare per stipulare regole generali di tassazione per le grandi aziende digitali (come Facebook, Google, Amazon) che fanno profitti anche in stati al di fuori di quello alla cui normativa sono giuridicamente vincolati. Il gruppo intergovernativo ha stabilito un piano di lavoro da implementare entro giugno per fare in modo che tali aziende paghino le tasse nelle aree da dove provengono i profitti. Non sorprende il fatto che le maggiori rimostranze siano arrivate dagli Stati Uniti, i quali in realtà avevano già proposto un modello (cosiddetto ”porto sicuro”), che avrebbe consentito alle aziende un margine di scelta più ampio.
I target di inflazione
Stati Uniti, Giappone e Unione Europea si sono inoltre confrontati sulla questione dell’inflazione. I problemi all’orizzonte condivisi da tutte e tre le aree – i prezzi in relativa stagnazione da più tempo di quanto previsto, l’invecchiamento della popolazione (e relativa riduzione dei consumi) e l’avanzamento tecnologico (che aumenta l’efficienza e determina un abbassamento dei prezzi) – rendono sempre più difficile raggiungere il target del 2% di inflazione. Un’inflazione troppo bassa significa meno possibilità per le imprese di alzare gli stipendi e, dunque, innescare un circolo virtuoso in grado di far girare l’economia.
Al momento, il dubbio riguarda se e quanto modificare il target del 2% possa effettivamente essere utile a riattivare l’economia.
Nei verbali dell’ultima riunione, pubblicati la settimana scorsa, la Federal Reserve faceva sapere di non aver intenzione di modificare il costo del denaro almeno fino al 2021 (salvo “condizioni straordinarie che lo richiedano”). Eppure, aggiungendo il preoccupante andamento dell’inflazione Usa (attualmente al 2,73%) all’espandersi dell’epidemia di coronavirus, sono aumentate le aspettative che la banca centrale Usa tagli i tassi di interesse nel 2020, che salgono ora al 90%.
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