Indice PCE Core in salita oltre le attese al +4,7%
L’indice preferito dalla Fed ha indicato una crescita maggiore delle previsioni sintomo che le pressioni inflazionistiche restano più solide di quanto si aspettava il consensus.
I risultati
Il Bureau of Economic Analysis (BEA) ha diffuso i dati sull’indice PCE (Personal Consumer Expenditures) che a gennaio ha mostrato una crescita oltre le attese in tutte le sue componenti. L’indice PCE, non depurato dai panieri volatili, è salito del +5,4% su base annuale e più delle aspettative ferme al +5% a/a mentre su base mensile l’incremento è stato del +0,6%. Il dato del mese di dicembre è stato rivisto al rialzo al +5,3% a/a.
La componente Core, che esclude i panieri dei beni energetici e alimentari, è aumentata a gennaio del +4,7% a/a indicando un’accelerazione rispetto al +4,4% a/a di dicembre. Le previsioni erano ferme ad un +4,3% a/a. Mese su mese il PCE Core è salito del +0,6% contro attese al +0,4%.
I dati macroeconomici di gennaio mostrano anche un aumento della spesa dei consumatori che su base mensile è cresciuta del +1,8% rispetto alle stime ferme al +1,3%.
Gli effetti sui mercati
I valori maggiori delle attese sugli indici PCE pesano sui futures a Wall Street che virano in rosso. Prima dell’apertura lo US Tech 100 perde il -1,7%, lo US 500 scende del -1,4% mentre il Dow Jones è in calo del -1,3%. I valori si ampliano al suono della campanella di apertura con il NASDAQ che scende del -2% seguito dal -1,6% dell’S&P 500 e dal -1,4% del Dow Jones.
Il dollaro statunitense si rafforza molto contro euro, yen, sterlina e aussie. L’EUR/USD scende di 25 pips fino ad attestarsi in area 1,0550, il cable è a 1,1940, l’AUD/USD a 0,6730 mentre lo USD/JPY (大口) tocca i massimi intraday a 136,14.
Le previsioni
I dati di oggi confermano le paure della Federal Reserve che si attende un radicamento dell’inflazione nell’economia americana. A partire dalla fine del 2022, quest’ultima è scesa molto a causa del calo delle quotazioni delle materie prime anche se la componente dipendente dalla domanda domestica rimane ancora elevata e rimane una preoccupazione per Fed e mercati finanziari.
Negli Stati Uniti l’inflazione continua quindi a rimanere elevata a causa della spesa dei consumatori e di un mercato del lavoro che non accenna ad allentarsi con un tasso di disoccupazione al 3,4% nel mese di gennaio.
Dopo i dati di oggi, ci aspettiamo che la banca centrale statunitense continui con il suo programma di rialzo del costo del denaro che indicativamente potrebbe toccare un picco sopra il 5% prima di stabilizzare i tassi e in linea con l’evoluzione dei dati macro.
Bisogna notare, inoltre, che la probabilità di un rialzo di 25 punti base nella prossima riunione del 22 marzo è scesa molto nelle ultime settimane fino al 67,1% - una settimana fa era all’81,9% - mentre al contrario è aumentata al 32,9% quella che indica un rialzo da 50 punti base che porterebbe il costo del denaro fino alla forchetta compresa tra il 5% e il 5,25% (dati CME FedWatch Tool).
A questo punto crediamo che la Fed continui gradualmente ad alzare il costo del denaro anche se crediamo che rimanga improbabile un ritorno ai maxi-rialzi da 50 punti base. Infatti, questi ultimi confermerebbero le paure del mercato oltre ad una totale perdita di credibilità nei confronti dell’istituto monetario statunitense.
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