Inversione curva rendimenti Usa: recessione alle porte?
L’indicatore preferito dalla Federal Reserve per anticipare un rallentamento economico sta segnalando guai in arrivo. Scopriamo di cosa si tratta.
Cos’è la curva dei rendimenti?
La curva dei rendimenti rappresenta un grafico che illustra tutti i rendimenti dei titoli di stato emessi dal governo degli Stati Uniti che, insieme, formano appunto una curva chiamata in gergo finanziario yield curve. Normalmente la curva tende ad avere un’inclinazione positiva con i rendimenti dei titoli di stato a lungo termine (titoli a 20 - 30 anni) che sono più elevati di quelli a breve termine (2 - 3 anni).
Questo perché i titoli a lungo termine garantiscono un rapporto rischio-rendimento maggiore rispetto alle obbligazioni a breve scadenza.
Tuttavia, in periodi di tumulti sui mercati, la curva dei rendimenti tende ad invertirsi assumendo un’inclinazione negativa. Di conseguenza, i rendimenti a lungo termine scendono (sale il loro prezzo) mentre quelli a breve aumentano (calano le loro quotazioni) eventualità che viene identificata come un chiaro segnale di preavviso di una recessione economica.
La logica di fondo è che in queste situazioni gli investitori cercano più sicurezza acquistando titoli a lungo termine e vendendo invece quelli a breve termine, causando quindi un calo dei prezzi di questi ultimi titoli a breve scadenza e un conseguente rialzo dei loro rendimenti.
Cos'è successo ieri alla yield curve degli Stati Uniti?
Questa settimana i dati sul mondo del lavoro negli Usa hanno rafforzato la tesi dei mercati su un’imminente recessione cosa che ha amplificato ulteriormente l’inclinazione negativa della curva. In particolare, ieri il cosiddetto “near-term forward spread” - che mostra la differenza tra i rendimenti futuri a 18 mesi di un titolo a tre mesi rispetto a quelli attuali (sempre del titolo a tre mesi) - è sceso ad un nuovo minimo di -170 punti base, sebbene sia stato in territorio negativo da novembre scorso. Tuttavia, secondo dati Refinitiv, questo ha toccato un’inversione massima dal 2007.
Questa misura è stata definita dal Governatore della Fed Jerome Powell come “la migliore indicazione per prevedere una possibile recessione” e quindi non stupisce che l’indicatore sia stato soprannominato proprio “Powell Curve”.
Le preoccupazioni del mercato
Gli operatori sono dunque in apprensione con i dati di oggi sui Non-Farm Payrolls che potrebbero confermare i sospetti timori di una recessione. Nonostante ciò, all’interno della Fed il “falco” James Bullard sostiene invece un continuo rialzo dei tassi che, secondo lui, dovranno salire sopra la soglia del 5%.
La scorsa riunione del 22 marzo la Federal Reserve ha aumentato i tassi di interesse di 25 punti base portandoli nel range 4,75%-5%, il livello più alto dal 2007.
A questo punto i mercati si aspettano che le paure di una recessione, date da un indebolimento del mercato del lavoro domestico, inducano la banca centrale americana ad interrompere il rialzo dei tassi o a tagliarli entro dicembre, alcuni sostengono addirittura di 70 punti base.
Al momento i membri della Fed non stimano nessun taglio del costo del denaro quest’anno anche se le prossime decisioni dipenderanno molto dai futuri valori dei dati macroeconomici, inflazione in primis.
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