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Tokyo apre il 2019 con un calo del 2,25%, dopo aver avviato le negoziazioni in area -3,6%. Meglio invece le borse asiatiche, coi listini cinesi che recuperano terreno dopo i ribassi delle passate sedute.
Dopo tre giorni di chiusura, il paniere delle 225 società giapponesi più capitalizzate ha riaperto i battenti, scontando venerdì il pesante ribasso di Wall Street, i cui listini (S&P500, Dow Jones e Nasdaq) hanno chiuso ieri in rosso con ribassi tra il 2,5 e 3%.
Ad originare le vendite in Giappone sono state le preoccupazioni di tenuta economica e di rallentamento della crescita globale, sia produttiva, che della domanda. Non solo: a gravare sul listino è stata anche la dinamica di apprezzamento dello yen, che in pochi secondi ha portato nella notte di ieri la divisa nipponica ad apprezzarsi contro dollaro del 4,4%, ai massimi dal marzo 2018. Oltre allo yen, gli investitori hanno intensificato i propri acquisti sull’oro, tornato sopra area $1290 e sintomatico di una rpiazza alla ricerca di un “rifugio”.
Tra i titoli più colpiti del mercato, il settore tecnologico. Dopo il lancio del revenue warning, Apple ha scontato ieri sul listino americano una delle peggior giornate mai registrate da Cupertino, sotto di quasi dieci punti percentuali. Il titolo risulta a oggi il peggiore dell’indice Dow Jones su base sia settimanale che mensile (con un calo superiore al 19%).
A Tokyo, a spiccare è stato infine il ribasso dei semiconduttori di Sumco (-6%), mentre i titoli finanziari sono riusciti a contenere i movimenti a ribasso.
Per le borse del mercato asiatico le giornate di lunedì e martedì prossimo saranno cruciali: una delegazione di rappresentanti americani (dietro la guida del vice-rappresentante al Commercio, Jeffrey Gerrish, si recherà infatti a Pechino per un “dialogo costruttivo” volto a raggiungere un accordo commerciale che ponga fine alle tensioni sugli scambi internazionali. Sebbene il presidente Trump abbia confermato che buoni progressi sono stati fatti, non è ancora chiaro se la Cina accetterà alcune richieste statunitensi sull’accesso ai mercati di riferimento e ai presunti abusi cinesi di proprietà intellettuale.