Inflazione Cina in ribasso al +2,1% a/a
Le pressioni inflazionistiche in Cina sono scese oltre le attese nel mese di ottobre a causa dell’aumento dei casi di Covid-19 che hanno frenato la domanda domestica.
I risultati
Questa mattina sono state pubblicate le statistiche relative all’indice dei prezzi al consumo in Cina con i risultati che hanno mostrato un calo inaspettato al +2,1% a/a nel mese di ottobre contro stime del consensus che si aspettavano una crescita al +2,4% a/a.
Il CPI (Consumer Price Index) è risultato dunque in forte ribasso rispetto al dato del mese precedente quando si era attestato al +2,8% a/a, il massimo da 29 mesi.
Su base mensile, invece, l’inflazione è salita solo del +0,1% rispetto alle attese del +0,3%.
Il drastico calo è stato dato per la maggior parte dal forte ribasso dei prezzi del cibo che sono cresciuti del +7% su base annuale ma sono rallentati rispetto al +8,8% del mese di settembre mentre i prezzi delle verdure fresche sono aumentati del +8,1% a/a rispetto al +12,1% a/a di settembre.
Nonostante ciò, i prezzi della carne di maiale, una componente chiave nella misurazione del CPI cinese, sono saliti del +51,8% a/a, sorpassando il dato di settembre fermo al +36% a/a.
I dati mostrano come la domanda aggregata domestica sia stata particolarmente colpita dalla ripresa dei casi di Covid-19. Infatti, dopo quasi tre anni dal primo caso, la Cina sta ancora lottando apertamente contro la diffusione del virus a causa di una campagna vaccinale inadeguata e dell’inefficacia dei vaccini stessi, di produzione interna.
Inoltre, l’ostinazione del governo di Pechino a continuare con una politica di zero tolleranza dei casi di Covid ha portato il paese a subire numerosi lockdown che non permettono ai cittadini di muoversi liberamente dunque ne affossano la crescita economica. Infatti, lo scorso mese, uno studio del Fondo Monetario Internazionale ha previsto un rallentamento della crescita cinese al +3,2% per il 2022, un calo di 1,2 punti rispetto alle precedenti previsioni fatte ad aprile.
Tuttavia, anche il PPI (Producer Price Index) è sceso del -1,3% a/a (attese per -1,5% a/a), il livello più basso da dicembre 2020, a causa della domanda debole a livello sia domestico sia esterno. Il dato del mese scorso era stato positivo dello 0,9%.
I prezzi nell’industria estrattiva del carbone sono scesi del -16,5% a/a (-2,7% su base annuale a settembre) mentre quelli del settore della lavorazione dei metalli ferrosi sono in calo del -21,1% a/a (-18% a/a nel mese di settembre).
Le prospettive di un rallentamento economico globale hanno minato la crescita del gigante asiatico che ha mostrato un calo delle sua bilancia commerciale sia dal lato delle importazioni che delle esportazioni.
Le previsioni
La Cina si trova al momento in forte difficoltà perché pressata su più fronti. Il rallentamento dello scenario macroeconomico globale sta diminuendo la domanda verso i suoi prodotti penalizzando la sua bilancia commerciale. Inoltre, la sua economia interna è in costante frenata a causa dei lockdown dovuti ai nuovi casi di Covid-19.
Non ultimo, il paese è anche alle prese con un settore immobiliare in contrazione (dopo un’espansione smisurata durata un decennio) mentre lo yuan si è svalutato di quasi il 15% da gennaio a causa della costante forza del dollaro statunitense.
Detto ciò, crediamo che le pressioni inflazionistiche non siano il problema principale della Cina. Anzi il paese potrebbe subire delle spinte deflazionistiche che probabilmente si protrarranno anche nella prima parte del 2023 in linea con il generale rallentamento dello scenario macroeconomico.
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