Legge pro-Hong Kong, Cina minaccia “severe ripercussioni”. Quanto sono credibili?
Trump ha confermato il suo appoggio ai manifestanti, in piena guerra commerciale. L’accordo è a rischio, ma forse per il presidente Usa non è un problema
Hong Kong si riempie di stelle e strisce proprio il giorno del Ringraziamento, dopo la firma da parte del presidente Usa Donald Trump dello Human Rights and Democracy Act, che dunque diventa ufficialmente legge.
Washington è dunque ora legalmente tenuta a certificare annualmente lo stato di autonomia di Hong Kong, così da garantire il normale proseguimento dei rapporti commerciali tra le due – che l’hanno resa un hub finanziario di portata internazionale.
Come ha reagito la Cina?
La notizia piomba sui negoziati commerciali tra Cina e Usa, che fino a ieri sera sembravano aver imboccato una strada sempre più promettente. Dopo l’annuncio della conversione in legge Pechino ha minacciato “severe ripercussioni”, mentre l’ambasciatore statunitense a Pechino è stato convocato dal vice ministro degli Esteri cinese, Le Yucheng.
Washington pagherà le conseguenze delle sue azioni se continuerà ad “agire arbitrariamente” riguardo la questione di Hong Kong. Il fatto che, da quando ha guadagnato l’indipendenza dal Regno Unito (nel 1997), la città goda di particolari autonomie, non sembra infatti scalfire più di tanto la convinzione di Pechino che sia prerogativa territoriale della Cina.
Il capo redattore del Global Times, tra i principali organi di stampa cinese, ha fatto sapere su Twitter che Pechino vorrebbe bandire dal territorio cinese il relatore della legge, il senatore repubblicano Marco Rubio.
È proprio di oggi inoltre la notizia che la polizia di Hong Kong sarebbe penetrata all’interno del Politecnico, occupato dagli studenti di Hong Kong da metà novembre. Negli ultimi giorni sono state più di 1.100 le persone arrestate durante l’occupazione e al momento non è ancora chiaro se sia rimasto qualcuno all’interno dell’università.
Cosa ha in mente Trump?
La maggioranza degli analisti considera quella di Trump una mossa a dir poco avventata. Gli Usa infatti hanno sempre beneficiato delle condizioni di autonomia che caratterizzavano il panorama finanziario di Hong Kong e qualunque mossa in grado di generare ritorsioni da parte della Cina potrebbe inficiare il volume dei commerci tra gli Usa e i mercati orientali. Solo nel 2018, l’ufficio del rappresentante economico statunitense ha dichiarato scambi tra gli Stati Uniti e Hong Kong per 67,3 miliardi di dollari.
La mossa resta ancora dubbia, per quanto non sarebbe la prima volta che Trump agisce d’istinto (il ritiro delle truppe Usa dal Rojava, subito invaso dalla Turchia, è l’ultimo esempio e risale solo a ottobre). Ricordiamo tuttavia che, nelle ultime settimane, l’economia Usa ha registrato dati relativamente positivi: solo ieri il Dipartimento per il commercio ha calcolato una crescita del Pil del 2,1% durante l’estate, meglio rispetto alle aspettative (1,9%).
La guerra commerciale con la Cina ha influito per lo più sugli investimenti, che infatti hanno subito una contrazione per il secondo trimestre di fila, ma intanto il rischio di recessione è stato evitato e il tasso di disoccupazione più basso da 50 anni stimola i consumi, che costituiscono circa due terzi dell’economia Usa. Dall’altro lato del Pacifico, invece, la Cina combatte contro un aumento del debito e un’economia sempre più in contrazione – secondo la Banca mondiale, tra il 2021 e il 2030 la Cina crescerà a una tasso compreso tra il 4 e il 5,1%.
Com’è cambiata Hong Kong dall’inizio delle proteste?
È dallo scorso giugno che i cittadini dell’ex colonia britannica sono scesi in strada per protestare contro una legge (poi ritirata) sull’estradizione dei cittadini in Cina. Il provvedimento è stato la scintilla che ha fatto esplodere i cittadini di Hong Kong, spingendoli a continue proteste per rivendicare più autonomia e attenzione ai diritti umani.
Quasi sei mesi di proteste iniziano a pesare sul Pil dell’ex colonia. I dati sull’ultimo trimestre mostrano un’economia ufficialmente in recessione (non succedeva da oltre dieci anni), con il settore turistico definitivamente crollato e le attività commerciali sempre più strozzate.
Ma anche gli investimenti soffrono. Il settore del lusso sta lentamente abbandonando la città: le vendite di prodotti di lusso, che nel 2013 erano in grado di raggiungere un volume d’affari di 10 miliardi di dollari, nel 2019 arrivano solo a 6 miliardi. Non aiuta l’andamento dello yuan, che nelle ultime settimane ha perso sempre più valore e, dunque, esercita sempre meno potere attrattivo. Il cambio USD/CNH si assesta oggi a 7.03, con il dollaro sempre più forte dall’inizio del mese.
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