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Dopo un 2018 in rosso per la quasi totalità delle asset class sui mercati, a trarre profitto dal calo di entusiasmo (e di fiducia) è il metallo giallo, che archivia un esemplare dicembre in crescita del 5%, portando con sé la spinta rialzista legata ai timori di una futura non tenuta della piazza finanziaria.
Prosegue dunque la salita del gold che, come da attese, ha superato la soglia dei 1280 dollari l’oncia, tornando a testare quota $1290. Dietro le quinte, ancora una volta, tariffe commerciali e crescita mondiale, che, assieme a condizioni più stringenti sul mercato monetario americano, hanno amplificato i timori di una possibile non tenuta del comparto produttivo globale e del tessuto economico.
Archiviati i tempi dei 1180 dollari l’oncia, il prezioso ha recuperato i ribassi degli ultimi sei mesi, tornando a farsi valere come asset alternativo in momenti di incertezza. Le diverse incognite che caratterizzano un 2019 dai toni non facili hanno portato i principali analisti della piazza a prevedere un anno positivo per il gold, che, tornato in area $1300 l’oncia, potrebbe ambire a raggiungere gradini intermedi a $1320, $1330, $1345.
I prezzi, potrebbero infine spingersi fino all’area dei $1350 l’oncia, alla volta dell’importante resistenza posta a $1375: l’eventuale superamento confermato di questa aprirebbe per il gold spunti rialzisti fino a $1500.
Riserve auree e banche d’affari
A percepire avvisaglie di precarietà sono state anche le banche centrali, che hanno intensificato i propri acquisti di oro a partire dal terzo trimestre 2018: è il caso di Turchia (+18,5 tonnellate per complessive riserve a 258,6), Russia (+92 tonnellate d'oro, a 2mila tonnellate, massimo storico), Ungheria (con riserve passate ad ottobre da 3 tonnellate a 31,5) e Polonia (con riserve passate in estate da 13,7 tonnellate a 116,7). Tra le ragioni delle operazioni, giocare d’anticipo sull’eventuale arrivo di una nuova crisi economica e bilanciare scompensi valutari.
Ma non sono le sole: l’India si conferma oggi tra i maggiori acquirenti al mondo di prezioso; la Cina, pur dichiarano di possedere 1.800 tonnellate nei propri caveau, in realtà potrebbe detenerne oltre 20 mila; la Germania ha proseguito nelle operazioni di rimpatrio del proprio oro da Stati Uniti, Inghilterra e Francia (oro depositato fuori dalla regione ai tempi delle guerre mondiali). Stabili invece le riserve auree di Bankitalia, quarto detentore di prezioso al mondo (2.452 tonnellate), dopo Federal Reserve mericana, Bundesbank tedesca e Fondo monetario internazionale.
Secondo quanto reso noto dal World Gold Council, nell’estate 2018 le banche centrali hanno acquistato complessivamente 148 tonnellate d’oro, oltre il 20% in più degli ordini rilevati nel 2017.
Prezzo dell’oro: analisti concordi sul rialzo
Rincaro dei tassi d’interesse americani e rischio di rallentamento economico sono invece due dei principali fattori che hanno spinto gli esperti di Schroders e Goldman Sachs a puntare su un ritorno di fiamma dei beni rifugio, oro in primis. Su quest’ultimo potrebbe inoltre pesare il possibile raffreddamento del dollaro che, cresciuto di oltre il 5% contro le principali valute mondiali nel 2018, potrebbe perdere vigore nel futuro prossimo, rendendo più conveniente il prezioso (quotato in USD).
Secondo gli analisti di Bank of America saranno gli effetti legati al protezionismo trumpiano a spingere la domanda di bene rifugio, che andrà incontro a nuovi rialzi, nell’opinione di Citigroup, grazie al ritorno del rischio geopolitico.
La volatilità di mercato, sostengono infine da Natixis, potrebbe spingere gli operatori nel 2018 a prediligere il gold su altre asset class più rischiose, in attesa di comprendere quale sarà il corso che prenderanno i mercati.