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La corsa al rialzo dei prezzi del greggio sembrava non trovare ostacoli. Le tensioni geopolitiche, l’intesa tra il cartello OPEC e la Russia, i problemi di Venezuela e Iran, gli acquisti dei fondi hedge avevano portato le quotazioni dell’oro nero a salire negli ultimi 12 mesi di 75 punti percentuali, dai minimi di giugno 2017 a 42 dollari fino sui massimi di inizio settimana a 73 dollari al barile.
Dopo aver toccato nuovi picchi da novembre 2014 il petrolio ha totalmente invertito rotta e nelle ultime 4 sessioni ha solo evidenziato sedute in forte ribasso.
La principale ragione della flessione è legata alle indiscrezioni da parte delle agenzie di stampa di un nuovo accordo tra i paesi membri dell’OPEC e quelli non-OPEC sui tagli alla produzione ormai ritenuti non troppo necessari. Il massiccio aumento delle scorte di petrolio evidenziato nei recenti dati macroeconomici ha fatto cambiare idea ai ministri del petrolio sulle strategie da adottare. L’eccesso di offerta di oro nero che aveva dominato per tanti anni il mercato sembra essere stato totalmente assorbito dopo i problemi dal lato della produzione di Venezuela (crisi politica e rischio di guerra civile), Iran (decisione degli Stati Uniti di rimettere le sanzioni economiche dopo essere usciti dal deal sul nucleare), Libia (caos tra i vari centri di potere), Nigeria (rischio di nuovi attacchi alle infrastrutture da parte degli estremisti islamici).
Dalle agenzie di stampa sono arrivati voci di un possibile accordo vicino tra paesi OPEC e paesi non-OPEC per aumentare la produzione di 1 milioni di barili al giorno. Le scelte saranno comunicate con elevate probabilità nel meeting OPEC-non OPEC di Vienna che si terrà il 22-23 giugno.