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Petrolio, un accordo Iran-Usa potrebbe affossare le quotazioni ma intanto i prezzi salgono

Un eventuale patto sul nucleare iraniano spingerebbe l’Arabia Saudita a tagliare la produzione di greggio per sostenere i prezzi.

Fonte: Bloomberg

Oggi i prezzi del petrolio salgono di quasi l’1,5% sulle aspettative di un taglio alla produzione di greggio, promosso dall’Arabia Saudita e caldeggiato dall’OPEC, in risposta alla proposta di aggiornamento dell’accordo sul nucleare iraniano con gli Stati Uniti.

Infatti, il JCPOA (Joint Comprehensive Plan of Action) entrato in vigore nel 2015 poneva diverse limitazioni all’utilizzo delle riserve di uranio a basso arricchimento e alla costruzione di nuovi reattori da parte dell’Iran.

Tuttavia, nel 2018, l’uscita unilaterale dall’accordo da parte del Presidente statunitense Donald Trump aveva generato diverse sanzioni economiche dirette verso il paese e volte a minare la sua economia domestica (tra cui quella sul divieto delle esportazioni di petrolio, principale fonte di ricchezza del paese).

Ora, sotto l’amministrazione dell’attuale Presidente USA Joe Biden, i rapporti diplomatici con Teheran si sono normalizzati e alcune indiscrezioni sostengono che ci possa essere una rimozione delle precedenti sanzioni economiche verso il paese da parte degli Stati Uniti.

Tuttavia, nel complesso intreccio geopolitico si è ora inserita l’Arabia Saudita - alleata degli Stati Uniti - con il principe Mohammed bin Salman che negli ultimi giorni ha spinto al rialzo le quotazioni del greggio a causa delle dichiarazioni riguardo ad un possibile taglio della produzione da parte del cartello OPEC, nel caso in cui le riserve di greggio iraniane dovessero inondare il mercato.

Infatti, l’eventuale reintroduzione delle quote di produzione iraniane, circa 1,3 milioni di barili al giorno (equivalente al 5% dell’intera produzione OPEC), potrebbe spingere i prezzi del greggio al ribasso in un range compreso tra i $70 e gli $80 al barile, a parità di produzione OPEC+, danneggiando gli introiti record registrati durante il primo semestre 2022 da parte dei membri del cartello.

Le previsioni

Dai minimi del 16 agosto, il benchmark WTI è salito dell’11,8% da livello di $85/barile fino ai $95 per poi ripiegare leggermente negli ultimi giorni fino agli attuali $93.

Nonostante ciò, la geopolitica sta complicando ulteriormente la situazione in quanto Riyadh sta tentando di mantenere buoni rapporti sia con l’amministrazione statunitense sia con la Russia (cercando di non deteriorare le entrate derivanti dalla produzione petrolifera).

I Sauditi hanno infatti mostrato l’intenzione di mantenere i prezzi del greggio intorno ai $100/barile così da garantire un adeguato flusso di proventi nelle casse del paese ed aumentare gli investimenti nella propria industria petrolifera che attualmente è quasi al massimo della propria capacità di produzione con 11 milioni di barili al giorno.

In conclusione, crediamo che il principe saudita Mohammed Bin Salman sia pressoché focalizzato a stabilizzare la propria posizione geopolitica e a mantenere i prezzi del greggio elevati attraverso il controllo dell’offerta.

Inoltre, pensiamo che un eventuale accordo sul nucleare iraniano sia caldeggiato da molti paesi (in quanto allenterebbe la crisi energetica e in parte le pressioni inflazionistiche) anche se la reazione dell’OPEC potrebbe peggiorare la situazione e riportare i prezzi ben oltre la soglia dei $100/barile.

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