Quale paese rischia di più una recessione?
Alla luce dei dati deludenti sugli indici PMI e con la crisi energetica che non fa che peggiorare l’Europa sembra la candidata ideale per finire rapidamente in un rallentamento economico.
Quando si entra in recessione
Secondo la prassi economica, si ha una fase di recessione quando l’economia di un paese subisce una contrazione del PIL per un periodo superiore ai sei mesi. Inoltre, si parla di recessione tecnica quando si registrano dati negativi del Prodotto Interno Lordo per due trimestri consecutivi (unica eccezione sono gli Stati Uniti che utilizzano altri parametri).
La situazione europea
La pubblicazione degli indici PMI relativi a manifattura e servizi, prodotti da S&P Global, non fanno che aumentare le probabilità di una recessione nel continente europeo. Le principali economie del Vecchio Continente stanno lottando contro un mix - senza precedenti - di alte pressioni inflazionistiche, carenze negli approvvigionamenti, tensioni geopolitiche e rincari delle materie prime.
La situazione è stata aggravata notevolmente dopo l’invasione dell’Ucraina da parte delle truppe di Putin, il 24 febbraio scorso, che ha aperto una nuova fase di incertezza dopo la fine della pandemia di Covid-19.
In particolare, l’effetto più eclatante è stato l’aumento vertiginoso dei prezzi delle materie prime energetiche, di cui la Russia è un grande esportatore, che ha portato i prezzi del petrolio fino ad un massimo di $136/barile il 7 marzo scorso mentre il gas naturale è salito fino al picco di questi giorni a €292,50/MWh.
Inutile puntualizzare che chi ha patito di più la vicinanza al conflitto è stata proprio l’Europa che ha subito l’impatto maggiore a causa del clima geopolitico estremamente teso.
Infatti, a causa del parziale embargo energetico russo, le pressioni inflazionistiche sono aumentate molto più delle aspettative (erano già in aumento dopo la ripresa post-pandemica) e hanno toccato nuovi massimi da circa 40 anni (nell’Eurozona +8,9% a/a mentre in Europa +9,8% a/a nel mese di luglio).
Di conseguenza, la crescita dell’inflazione ha messo in allerta la Banca Centrale Europea che si è vista costretta ad aumentare i tassi di interesse per la prima volta da circa un decennio. Insomma, il 2022 è stato inaugurato da un nuovo cigno nero (la guerra in Ucraina) che ci lascerà molte incertezze e innumerevoli difficoltà nel fronteggiare i possibili rischi presenti e futuri.
In conclusione, pensiamo che la Germania (nel primo trimestre al +0,2% rispetto all’ultimo trimestre 2021 mentre nel secondo trimestre il PIL è rimasto invariato al +0,0% su base trimestrale) e il Regno Unito (crescita PIL nel primo trimestre del +0,8% mentre nel secondo trimestre è in calo al -0,1%) siano i paesi più a rischio e con una probabilità di recessione in aumento nel breve termine a causa di un mix di pressioni inflazionistiche elevate e contrazione degli indici macroeconomici.
Infatti, i dati sul Prodotto Interno Lordo mostrano un deciso momentum ribassista per Germania e Regno Unito che hanno subìto un calo sostanziale a causa delle tensioni geopolitiche e dell’inflazione. Le previsioni restano comunque fosche per il secondo semestre con una stima sul PIL tedesco nel terzo trimestre ferma al +0,2%. Anche per il Regno Unito ci si aspetta un calo del PIL nel terzo trimestre a causa delle pressioni inflazionistiche record.
Il caso americano
Nonostante gli Stati Uniti stiano fronteggiando un periodo estremamente complicato (non solo a livello economico) sembrano essere in una posizione migliore del Vecchio Continente.
In primis sono stati influenzati solo marginalmente dal conflitto ucraino che ha sì fatto aumentare i prezzi delle materie prime ma ha anche beneficiato i produttori statunitensi (gli USA sono il maggiore produttore al mondo di petrolio e gas naturale grazie alla rivoluzione del fracking con una produzione nel 2021 di circa 11 milioni di barili di petrolio al giorno e oltre 800 milioni di m3 di gas naturale all’anno).
Proprio per questo motivo, l’economia americana si è mostrata molto resiliente allo shock geopolitico grazie ad una completa autonomia energetica iniziata all’incirca dalle prime crisi petrolifere del 1973 e del 1979.
Nonostante ciò, anche la prima economia al mondo ha dovuto fare i conti con le crescenti pressioni inflazionistiche (+8,5% a/a nel mese di luglio) che hanno costretto la Federal Reserve ad attuare una politica monetaria restrittiva che attualmente ha portato i tassi di interesse nel range tra il 2,25% e il 2,50%.
Inoltre, la disoccupazione è estremamente bassa (3,5% a luglio) con i Non-Farm Payrolls che a luglio hanno aggiunto 528mila nuovi posti di lavoro mostrando segnali che l’economia è tutt’altro che fiacca. Per questo motivo crediamo che le probabilità di una recessione negli Stati Uniti siano basse in quanto i fondamentali macroeconomici rimangono solidi (nonostante una crescita del PIL negativa per il secondo trimestre consecutivo rispettivamente del -1,6% e del -0,9%).
La situazione asiatica
Paradossalmente, in Asia la situazione è completamente opposta. In Cina la PBOC (People’s Bank of China) ha recentemente abbassato di 5 punti base i tassi di interesse sui prestiti ad un anno, fino al livello del 3,65%, mentre il tasso a 5 anni è stato portato al 4,3% (-15 punti base).
Infatti, al contrario di Europa e Stati Uniti, l’economia cinese non sta lottando contro le pressioni inflazionistiche record che affliggono i paesi occidentali (inflazione in crescita solo del +2,7% a/a nel mese di luglio) ma sta, invece, cercando di stimolare l’economia che sta patendo vari problemi legati al sofferente settore immobiliare, dominante come contributo al PIL del paese con una quota di circa il 25%.
L’inflazione non è un problema perché la Cina ha subito un rimbalzo dei casi di Covid-19 che hanno causato chiusure in molte città e penalizzato la crescita dell’economia (e dei prezzi).
Non ultimo, anche in Giappone la situazione non è così grave come nel resto del mondo. L’inflazione a luglio è cresciuta solo del +2,6% mentre le esportazioni, nello stesso mese, sono cresciute rispetto ad un anno prima del 19% grazie alla debolezza del JPY.
Le preoccupazioni principali nel paese del Sol Levante sono quelle di politica monetaria con pressioni sempre più insistenti sulla Bank of Japan perché alzi i tassi di interesse (attualmente negativi al -0,1%).
Tuttavia, bisogna ricordare che il Giappone proviene da quasi un decennio di spinte deflazionistiche che hanno causato una calo sostanziale della crescita economica. Solo recentemente, grazie alla illuminata politica economica dello scomparso Shinzō Abe, il Giappone ha potuto parzialmente risollevarsi dal punto di vista economico. Qui la recessione sembra solo un lontano ricordo.
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