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Quotazioni petrolio in balia dei contrasti in sede Opec+, riunione rinviata

I paesi riottosi (e ripresi) puntano i piedi: o tutti si adeguano agli accordi, o si torna ai livelli di produzione non regolati. Riad cerca di rinserrare i ranghi mentre la Russia preme per un graduale allentamento dei tagli

Piattaforma off shore Fonte: Bloomberg

Sembrava che fossero tutti d’accordo: la recrudescenza della pandemia di covid-19 minaccia la ripresa della domanda di petrolio, l’alleggerimento dei tagli alla produzione dovrà aspettare.

Eppure, la seconda giornata di riunioni dell’Opec+ è stata rimandata di 48 ore, da martedì 1 dicembre a giovedì 3 - domani. Segno di contrasti all’interno dell’organizzazione dei principali paesi esportatori di petrolio che, nel frattempo, pesano sulle quotazioni del greggio – seppur in maniera risibile: al momento il Brent perde lo 0,21% e viene scambiato per 47,32 dollari al barile, il Wti scende dello 0,31% a 44,41 dollari al barile.

Cosa sta succedendo all’interno dell’Opec+?

A dicembre i membri dell’Opec nella sua formazione allargata a Russia e alleati avrebbero dovuto decidere se prolungare i tagli alla produzione attuali (7,7 milioni di barili al giorno) anche ai primi mesi del 2021, oppure se proseguire con il piano originario (passare a 5,8 milioni di barili al giorno in meno, aumentando gradualmente la quantità di greggio in circolazione a discapito del prezzo).

Qualcosa però è andato storto. Secondo fonti d’intelligence, ad aver scatenato le ritorsioni sarebbero state le riprese da parte dell’Arabia Saudita agli Emirati Arabi, responsabili, secondo Riad, di non aver rispettato la quota di tagli alla produzione di petrolio. Ma non è solo Abu Dhabi a non rispettare i patti: tra maggio e agosto infatti il totale di paesi inadempienti avrebbe accumulato un surplus di 2,4 milioni di barili al giorno.

Secondo Iea (International Energy Agency), gli Emirati avrebbero sforato la propria quota producendo 420 mila barili in più al giorno a luglio e 520 mila al giorno ad agosto. L’Arabia Saudita aveva dato tempo fino a settembre per rientrare nei ranghi, scadenza poi slittata a dicembre.

A rallentare il processo decisionale dell’Opec+ sono stati i paesi messi più in difficoltà dai tagli alla produzione, capeggiati proprio dagli Emirati Arabi. Tre condizioni per proseguire con il regime dei tagli alla produzione: che questi vengano approvati all’unanimità, che gli ammanchi vengano recuperato in tempi brevi e un rinnovato impegno al rispetto del 100% delle quote.

Allo stesso tempo l’Arabia Saudita preme per estendere i tagli ad ogni condizione, mentre la Russia (tra i paesi che più volte sono venuti meno agli accordi) spinge per attenersi al piano originario e tornare gradualmente a immettere più petrolio sul mercato.

A chi convengono davvero i tagli?

La risposta alla domanda è apparentemente semplice: a tutti. Il prezzo del petrolio al momento è ancora troppo basso rispetto al livello di breakeven fiscale, ovvero il prezzo a cui ciascuno stato deve vendere il petrolio estratto per rientrare del costo di estrazione e creare profitto.

Al momento il prezzo del greggio tenta di raggiungere quota 50 dollari al barile (soglia che non vede dallo scorso febbraio, prima della pandemia e della guerra dei prezzi tra Russia e Arabia Saudita). Troppo poco per la maggioranza dei membri dell’Opec: gli Emirati Arabi avrebbero bisogno di venderlo almeno a 70 dollari al barile, l’Arabia Saudita a 83 dollari, l’Iran addirittura a 194 dollari.

Di contro, tra i paesi più riottosi ai tagli alla produzione vi sono l’Iraq, il cui breakeven price si assesta intorno ai 60 dollari al barile, mentre al Qatar, che non fa più parte dell’organizzazione da due anni, ne bastano 45,7 (i dati sono aggiornati al 2020).

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Il principio alla base dei tagli alla produzione è esattamente ridurre l’offerta per far aumentare il prezzo del petrolio. Tuttavia, gli introiti provenienti dal greggio per diversi paesi rappresentano ancora la prima fonte di entrata per l’economia nazionale.

È il caso dell’Iraq (nel 2019 le esportazioni di petrolio sono ammontate a 80 miliardi, su esportazioni complessive di 82,3 miliardi) e della Libia - non a caso, quest’ultima ha chiesto e ottenuto di essere lasciata fuori dal regime dei tagli, anche e soprattutto per via della guerra civile che ancora dilania il paese, almeno fino a quando la produzione non sarà tornata sopra i 2,7 milioni di barili al giorno.

A che livello sono le scorte di petrolio?

Nel frattempo, in attesa delle decisioni dell’Opec+, a far recuperare terreno al prezzo del petrolio intervengono le scorte settimanali calcolate dall’Eia, l’Energy Information Administration statunitense, che oggi le ha aggiornate con i dati al 27 novembre.

Il livello delle scorte di greggio Usa è diminuito di 317 mila barili, in rallentamento rispetto alla settimana precedente quando il calo era stato pari a 1,7 milioni di barili.

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