Stime flash indici PMI europei migliori delle attese ma rischio recessione resta
Le previsioni sugli indici PMI di novembre sono risultate migliori delle attese anche se in continuo deterioramento.
I risultati
In mattinata S&P Global ha pubblicato le stime flash sugli indici PMI nei paesi dell’Eurozona (si basano all’incirca sull’85% delle risposte totali dei questionari) che però hanno mostrato dei timidi segnali positivi nonostante continuino ad essere ben al di sotto della soglia di neutralità fissata a 50.
In particolare, a livello aggregato l’Eurozona continua a segnalare un indebolimento dei fondamentali macroeconomici mostrando il quinto declino consecutivo dell’attività economica nel continente.
Nonostante ciò, il valore dell’indice PMI Composito della produzione è stato pari a 47,8 - il migliore in due mesi (ad ottobre era fermo al 47,3) - grazie al calo meno intenso degli ordini, al miglioramento della fiducia nei prossimi 12 mesi e alla riduzione dei problemi alle forniture.
Detto questo, il tasso di contrazione è stato comunque il peggiore dal 2013, se si esclude quello derivato dalle chiusure anti-Covid.
Tuttavia, il parziale rallentamento dell’attività economica ha avuto - paradossalmente - un effetto positivo sulla riduzione della pressione sui prezzi dal lato della produzione. I costi delle aziende hanno infatti mostrato la crescita più lenta da 14 mesi consentendo quindi una riduzione dei prezzi al consumo.
Per quanto riguarda i paesi all’interno dell’Area Euro, quelli più colpiti rimangono la Germania e la Francia, in particolare nel settore manifatturiero dove la produzione industriale è scesa molto. La prima ha registrato un valore dell’indice Manufacturing PMI di 46,7 mentre la seconda di 49,1.
Nonostante questo, l’indebolimento della domanda di beni e servizi ha diminuito i ritardi sulle catene di fornitura e fiaccato la pressione sui prezzi dove, infatti, si è registrato un rallentamento della crescita dei tassi di inflazione che nel settore manifatturiero hanno raggiunto i minimi da 20 mesi.
Gli effetti sui mercati
Al momento della pubblicazione, i principali indici future del Vecchio Continente mostrano un segnale ribassista fino ai minimi intraday di oggi per poi scontare la notizia e ritracciare al rialzo.
Il Germany 40 perde 30 punti fino al bottom della seduta a 14.373 mentre l’Italy 40 apre in ribasso e tocca un minimo di 24.390 punti per poi risalire e stabilizzarsi a 24.547 punti. Il France 40, invece, è in calo di 25 punti fino a 6.642 per poi riprendersi intorno a quota 6.655.
Sul lato valutario, il cambio EUR/USD mostra un repentino calo intorno alle 10:00 (pubblicazione dato Eurozona) scendendo vicino ai minimi intraday a 1,0302. Successivamente, la coppia valutaria si riprende e si porta a 1,0312.
Le previsioni
In conclusione, le stime pubblicate oggi ci dicono che la situazione nel settore manifatturiero e dei servizi nell’Eurozona è migliorata rispetto ai cupi risultati registrati nei mesi di settembre ed ottobre.
In particolare, si è riscontrato un maggiore ottimismo soprattutto per quanto riguarda la riduzione dei ritardi sulle catene di fornitura, il calmieramento degli effetti dovuti alla crisi energetica e la riduzione dei prezzi al consumo dovuto in parte al rallentamento economico già in atto e alla politica monetaria restrittiva della Banca Centrale Europea.
A nostro avviso, crediamo che le probabilità di una recessione nel primo trimestre 2023 rimangano elevate anche se l’intensità della stessa potrebbe essere minore rispetto a quanto previsto in precedenza.
Sui mercati finanziari, invece, le quotazioni dei principali indici europei potrebbero ormai aver già raggiunto il bottom (a metà ottobre) e ora potrebbero continuare a mostrare una certa ripresa grazie alle notizie positive sull’indice dei prezzi al consumo e a decisioni meno aggressive sulla politica monetaria della BCE.
Infine, l’Eurodollaro potrebbe continuare a restare intorno alla parità fino alla fine del 2022 per poi scendere al di sotto di tale soglia nel caso in cui si dovesse ampliare la divergenza tra i tassi di interesse delle rispettive banche centrali.
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