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Tre titoli automobilistici che possono offrire opportunità per i trader

Le azioni dei marchi costruttori di auto sportive fanno leva sull’attaccamento dei consumatori al brand ma anche gli ottimi risultati finanziari possono spingere all’acquisto dei titoli. La IPO di Porsche crea un’altra occasione.

Fonte: Bloomberg

Che grande invenzione l’automobile, ha permesso a milioni di persone di inseguire quella libertà di movimento che era stata preclusa per secoli.

Certo dalla prima “auto” realizzata nel 1886, la Patent Motorwagen di Karl Benz, di strada ne è stata fatta (in tutti i sensi). Infatti, in 136 anni, l’industria automobilistica si è trasformata in una delle più grandi e importanti al mondo con un valore stimato di ben $2,9 trilioni per il 2022.

Tuttavia, per tutto il corso del XX secolo, le auto non sono solo diventate una necessità di tutti i giorni, ma si sono ritagliate anche un posto rilevante nelle relative competizioni sportive. Da qui si è aperto un capitolo nuovo per la storia dell’automobile che ha portato all’istituzione di veri e propri campionati mondiali (Formula 1 e WEC) che non solo permettono di essere un divertimento per il grande pubblico ma sono anche un laboratorio di ricerca per utili innovazioni sulle auto di serie.

Detto questo, molti dei marchi che un tempo dominavano le corse oggi non esistono più ma, nonostante ciò, il genio di alcuni uomini sagaci e intraprendenti ha permesso che alcune di queste aziende sopravvivessero alla prova del tempo fino ai giorni nostri.

Di seguito, quindi, vogliamo descrivere l’unicità di tre marchi del settore automobilistico sportivo, Ferrari, Porsche e Aston Martin - tutte e tre quotate in Borsa - che potrebbero offrire notevoli opportunità di trading nel breve/medio periodo.

Ferrari

La casa di Maranello non ha bisogno di presentazioni. Dal 1929, la Scuderia Ferrari è all’apice nelle competizioni sportive con un palmarès invidiabile di ben 16 campionati costruttori in Formula 1 e 15 campionati piloti, oltre a numerose altre statistiche come il maggior numero di Gran Premi disputati (1.047) e quello del maggior numero di vittorie (242).

Quella che inizialmente era solo una scuderia limitata alle corse, venne presto tramutata nel più grande successo commerciale (perlomeno del secolo scorso) grazie al genio del suo fondatore Enzo Ferrari, che nel 1947 le affiancò la produzione di autovetture stradali e sancendo l’inizio del sogno di milioni di persone.

Da allora, il marchio del Cavallino ha subito alti e bassi (tra cui la vendita del 50% delle quote azionarie a FIAT nel 1969 e gli insuccessi nella massima formula della fine degli anni ’60) anche se ha sempre saputo rimanere nel cuore degli appassionati, fattore che ne ha rispolverato il successo agli albori del nuovo millennio.

Infatti, prima sotto la guida di Luca Cordero di Montezemolo e poi sotto quella di Sergio Marchionne, il marchio Ferrari ha subito una notevole implementazione, culminata con la quotazione in Borsa del 2015, non solo dal punto di vista dell’appeal esterno ma anche da quello dei risultati finanziari.

L’azienda oggi registra ricavi per ben €4,3 miliardi (nel 2021 contro i €2,8 nel 2015) e con un adjusted EBITDA di €1,5 miliardi ed un margine del 35,9% (nel 2021 rispetto ai €748 milioni nel 2015). Anche l’utile netto è salito esponenzialmente dalla quotazione in Borsa, passando dai €310 milioni del 2015 agli €833 milioni del 2021. Al contrario, l’indebitamento netto è sceso, sempre nello stesso periodo di tempo, da €797 milioni a €297 milioni dell’esercizio 2021. Tutto ciò, è stato possibile non solo grazie alle competenze del top management - che ha sfatato l’assurda convinzione che una produzione sopra le 10.000 unità avrebbe deteriorato l’immagine del marchio - ma anche mediante una valorizzazione attraverso la catalizzazione di nuove risorse finanziare provenienti dal mercato dei capitali.

Il titolo ha toccato un massimo nel novembre 2021 di €247, anche se nel corso di quest’anno il corso azionario ha sofferto a causa delle incertezze date dalle tensioni geopolitiche e dallo scenario macroeconomico in forte deterioramento.

Inoltre, ieri mattina, le azioni hanno perso il -2,24% fino a €185,17, minimo del 13 luglio, sulla scia del risultato di domenica nel Gran Premio di Singapore dove le rosse hanno conquistato il secondo e il terzo posto dietro alla Red Bull di Pérez nonostante una partenza in Pole Position.

Detto questo, crediamo che l’esclusività del marchio e gli ottimi risultati finanziari, confermati negli ultimi anni, insieme alla capacità del management di rispettare gli obiettivi possano portare le quotazioni del titolo a superare la resistenza di breve periodo fissata a €200, massimo del 27 settembre. Ulteriori allunghi per il medio termine fissati al picco di €215 del 4 agosto scorso.

Porsche

La casa di Stoccarda è un altro sinonimo di esclusività nel panorama delle autovetture sportive di lusso. L’azienda nasce ufficialmente nel 1931 come studio di progettazione del brillante ingegnere Ferdinand Porsche che sarà più volte chiamato in causa dal governo nazista per la produzione di numerosi progetti militari e civili, tra cui quello più emblematico rimane la creazione del maggiolino (l’auto del popolo per eccellenza, da qui deriva infatti il nome tedesco Volkswagen), prima antenata delle future vetture sportive del marchio.

Dopo la guerra, sarà il figlio Ferry a prendere le redini dell’azienda lanciando un altro caposaldo del marchio che durerà fino ad oggi: il modello 911. Questa vettura, in produzione dal 1963 e con vendite che hanno sorpassato il milione di vetture nel 2017, è diventata un modello iconico per la casa di Stoccarda che lo aggiorna solo in piccoli dettagli per non snaturare la sua forma senza tempo e la sua originalità che continuano a piacere al pubblico anche se il progetto originale è vecchio di quasi 60 anni.

Tuttavia, nonostante i successi della casa nelle più svariate competizioni - dalla 24 ore di Le Mans alla Carrera Panamericana - il marchio ha dovuto differenziare la produzione delle proprie auto sportive per poter sopravvivere in un mercato sempre più competitivo. Infatti, verso la fine degli anni ’90, la casa ha attuato una strategia volta alla produzione di nuovi modelli in modo da poter incrementare le vendite e aumentare i ricavi.

Di conseguenza, nel 2002 viene lanciato il primo suv, la Cayenne, che avrà un enorme successo e permetterà all’azienda di poter continuare a finanziare la produzione di vetture sportive ad alte prestazioni. A questa, si aggiungeranno altri modelli - Panamera, Macan e oggi Taycan - che, anche grazie all’iniezione di capitale da parte di Volkswagen, (che acquistò un ulteriore 50% delle quote azionarie nel 2012) contribuiranno ad incrementare ulteriormente la redditività dell’azienda.

La scommessa di puntare su una gamma più ampia di veicoli, per altro imbracciata anche dai suoi concorrenti più stretti, sembra aver ripagato ampiamente gli azionisti. Infatti, oggi, Porsche è una azienda da ben €33,1 miliardi di ricavi (2021) e 283mila veicoli venduti globalmente.

Inoltre, la recentissima quotazione alla Borsa di Francoforte - nella forchetta di prezzo più alta prevista dai bookrunner a €82,50 - le ha permesso di raggiungere una capitalizzazione di ben €75 miliardi, molto vicina a quella dell’intero gruppo Volkswagen (€80 miliardi).

I €19,5 miliardi raccolti saranno usati per finanziare la massiccia elettrificazione dell’intera gamma di veicoli mentre circa €10 miliardi saranno redistribuiti agli azionisti sotto forma di dividendo straordinario.

Il titolo, quotato per la prima volta giovedì scorso, ha toccato un massimo intraday fino a €86,74 durante la prima seduta di contrattazione per poi ripiegare verso gli iniziali €82,50. Oggi il titolo guadagna sulla scia di un rimbalzo dei mercati e sale dell’2,2% fino a €83,6. Tuttavia, crediamo che le quotazioni possano presto superare la soglia psicologica dei €100.

In conclusione, nonostante le turbolenze sui mercati, riteniamo che dall’operazione di IPO, Porsche possa essere ripagata sul lungo termine grazie alla forte appetibilità del marchio e alla ottima redditività.

Aston Martin Lagonda

L’azienda automobilistica britannica ha un passato ben più tumultuoso rispetto alle altre due aziende presentate sopra. Infatti, nonostante sia presente sul mercato automobilistico da più di un secolo, la società ha vissuto più volte periodi di incertezza finanziaria che sono stati scongiurati solo grazie all’intervento di facoltosi investitori esterni.

Proprio negli ultimi anni la società di Gaydon ha subito numerosi tentativi da parte di operatori finanziari, talvolta spregiudicati, che hanno tentato di risollevare le sorti dell’azienda avendone fiutato l’incredibile potenziale a livello di immagine.

Il marchio Aston Martin rimane infatti noto al grande pubblico per essere stata l’auto utilizzata nei film della serie James Bond che ha portato il brand ad una fama pressoché imperitura. Tuttavia, la mancanza di una serie importanti di vittorie nei massimi campionati del mondo non ha permesso ad Aston Martin di fare breccia nel cuore degli appassionati in modo così preponderante come nei casi delle sue rivali Porsche e Ferrari.

Negli ultimi anni la casa di Gaydon sembra ha cercato di risollevarsi dal suo letargico torpore grazie all’arrivo del magnate canadese Lawrence Stroll che, a capo di una cordata di investitori, ha acquistato il 25% delle quote azionarie e mira a risollevare le sorti del marchio inglese.

Nelle strategie di Stroll per le sorti dell’azienda si notano profili comuni ai suoi concorrenti più stretti, ovvero la produzione di una gamma di modelli innovativi per finanziare le vetture più tradizionali.

Di conseguenza, Aston Martin, forte dell’accordo di fornitura con il partner AMG, divisione sportiva di Mercedes-Benz, ha lanciato sul mercato un nuovo SUV, denominato DBX, che prevede di risollevare le finanze dell’azienda insieme alle sue quotazioni in Borsa davvero molto deludenti.

Bisogna però ricordare che attualmente, la casa automobilistica sta lottando per raccogliere ulteriori risorse finanziarie da utilizzare per lo sviluppo di nuovi modelli ma soprattutto per ridurre il suo debito che ammonta a quasi un miliardo di sterline. E il mercato non sembra perdonare l’incertezza sul futuro del gruppo. Nel 2002 il prezzo delle azioni Aston Martin evidenzia un calo di oltre il 75%.

Nonostante le pessime notizie borsistiche, l’azienda è fiduciosa di riuscire a raggiungere gli ambiziosi obiettivi finanziari che si è preposta e cioè sia di avere flussi di cassa positivi sia di produrre 10.000 vetture entro il 2024.

Sicuramente, però, l’impatto del Covid-19 sulla domanda aggregata, i conseguenti ritardi nelle catene di fornitura e le tensioni geopolitiche non hanno fatto altro che acuire i problemi operativi e finanziari dell’azienda.

Tuttavia, Aston Martin, quotata dal 2018 alla Borsa di Londra, potrebbe sorprendere nei prossimi anni solo nel caso in cui riesca a raggiungere i suoi risultati di ordine finanziario - anche grazie alle risorse messe in campo attraverso l’accordo con il fondo sovrano saudita PIF e alla forte immagine del marchio.

Crediamo che l’unico fattore che possa fortemente invertire la direzione al ribasso delle quotazioni sia una profonda ristrutturazione aziendale attuata da un management capace e con risorse finanziarie adeguate. Risorse finanziarie che potrebbero arrivare da un takeover visto il prezzo molto basso di Aston Martin (come, ad esempio, Mercedes o la cinese Geely che hanno una importante partecipazione in Aston Martin, o Audi che sembrava interessata in primavera).

Tenendo conto del forte ipervenduto in cui si sono venuti a ritrovare i principali oscillatori di prezzo crediamo che nel medio/breve periodo sia possibile una reazione positiva anche legata all’appetibilità del gruppo sul mercato. Conferme per tali prospettive di crescita arriveranno con il superamento di 140 pence (obiettivi long a 160 e 185). L’eventuale cedimento del supporto psicologico di 100 pence annullerebbe lo scenario rialzista.

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